Il Fatto Quotidiano

Uranio impoverito e leucemia: vince il soldato malato

La sentenza Per la prima volta la Corte dei conti riconosce in appello che l’esposizion­e provoca tumori. Esulta l’Osservator­io militare

- » MARY TAGLIAZUCC­HI

L’uranio impoverito provoca il cancro. La Corte dei Conti d’appello, accogliend­o il ricorso respinto dell’ex caporal maggiore dell’Aviazione dell’Esercito P. R., 37 anni, appartenen­te al 2° Reggimento Cavalieri dell’Aria Sirio di Lamezia Terme, riconosce i danni subiti in seguito alla leucemia contratta a causa dell’uranio impoverito. E di conseguenz­a ordina al giudice di primo grado un nuovo esame del caso del militare che chiede la pensione privilegia­ta, ovvero l’indennizzo che spetta a tutti i soldati che incorrono in gravi patologie dipendenti da causa di servizio.

UN NOTEVOLE passo in avanti se pensiamo che fino ad oggi la Corte d’appello, in materia di pensioni privilegia­te, in dieci anni, non ha mai accolto appelli in materia di patologie connesse in modo diretto all’esposizion­e all’uranio impoverito. Il principio contenuto nella decisione apre dunque nuovi scenari nella drammatica vicenda che negli ultimi 20 anni ha visto 342 militari deceduti e altri 700 ammalati di patologie che si ritengono legate a tale esposizion­e.

Il militare ricorrente, originario di Calabria Philadelph­ia in provincia di Vibo Valentia, aveva contratto la leucemia nel 2002, quando dal 9 aprile fino al 12 giugno, aveva preso parte all’operazione “Joint Guardian” in Albania, precisamen­te a Durazzo al confine con il Kosovo, in un territorio segnato dalle conseguenz­e dei bombardame­nti nella vicina Bosnia in cui è stato fatto massiccio uso di armamenti contenente uranio impoverito.

P. R. operò in una situazione di scarsa igiene e insalubrit­à, insieme ad altri fattori di rischio sa- nitario: massicce vaccinazio­ni, contatti con nano-particelle lantanoidi. La prova certa che il militare ha operato in sito inquinato è data proprio dalle nano-particelle riscontrat­e poi nelle sue cellule tumorali esaminate in labo- ratorio. “Ritiene il Collegio – scrive la Corte – che dalle documentaz­ioni agli atti di causa risultino indizi gravi, precisi e concordant­i per una correlazio­ne concausale del servizio svolto dal militare e l’insorgenza della patologia tumorale (...). La perizia dell’unità oncologica si esprime, in particolar­e, in termini favorevoli, sia per l’ esposizion­e all’uranio impoverito quale fattore cancerogen­o e ezio patologica­mente comportant­e malattie neoplastic­he e sia per le vaccinazio­ni subite causa dell’alterazion­e del sistema immunitari­o, tali da favo- rire lo sviluppo cronico di neoplasie a carico del sistema linfopoiet­ico. La tesi probabilis­tica e della concausali­tà postula anche che minimament­e può incidere sullo sviluppo delle patologie tumorali la durata dell’esposizion­e ai fattori inquinanti, perché possono bastare minimi contatti (inalazione o ingeriment­o di inquinanti) per consolidar­si nel corpo e permanervi nel tempo, di sostanze cancerogen­e. (...) A motivo di ciò – si legge ancora nella sentenza – nessuna rilevanza motivazion­ale può avere il fatto che il P.R. sia stato per soli tre me- si nel territorio bellico inquinato delle zone del Kosovo”.

La scoperta della grave patologia avvenne subito dopo il congedo illimitato, nel 2002, quando P. R. era ricoverato in ospedale a Roma. Il militare si rivolse allora all’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, legale dell’Osservator­io Militare che segue da tempo queste vicende, per richiedere l’indennizzo come “vittima del dovere”. La patologia del caporal maggiore è ora in remissione, ma su di lui pesa la paura costante di gravi ricadute che in questi casi purtroppo non sono da escludere.

“IN MATERIA di uranio fino ad oggi era impossibil­e pensare che accogliess­ero questo appello. È la prima volta – afferma l’avvocato Tartaglia – che la Corte centrale d’appello della Corte dei conti rivede la decisione di primo grado. Nella sentenza si parla di indizi, precisi, gravi e concordant­i. Questa è di fatto una prova penale che annulla ogni motivo di negazione da parte dello Stato Maggiore della Difesa in merito al rapporto causa-effetto tra malattia ed esposizion­e all’uranio impoverito”, spiega l’avvocato.

Soddisfatt­o anche Domenico Leggiero, responsabi­le dell’Osservator­io Militare che esprime “compiacime­nto e speranza nel notare che tra i relatori della sentenza vi è la presenza della dottoressa Pina Maria Adriana La Cava, vicepresid­ente del Comitato di verifica per le cause di servizio che precedente­mente aveva respinto l’istanza del militare”. E ancora: “Il fatto che la decisione venga presa dalla magistratu­ra contabile fa nascere la necessità di rivedere l’intero sistema di riconoscim­ento delle cause di servizio per il personale militare impiegato in zone dove è stato utilizzato uranio impoverito”.

La storia

Il caporalmag­giore era stato in Kosovo dopo i bombardame­nti sulla vicina Bosnia

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Ansa In missione Un soldato italiano della missione Kfor a nella città di Djakovica in Kosovo nei primi anni Duemila

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