Nessuna uscita, solo entrate: ma come vive il signor Fini?
Inchiesta casa di Montecarlo: il sequestro delle polizze da un milione di euro e i dubbi degli inquirenti sul “conto dei miracoli” dell’ex presidente della Camera
Prima di sequestrargli due polizze assicurative, per un milione di euro, la Procura di Roma e gli investigatori sono stati costretti a porsi una domanda che, negli atti d’indagine, non ha trovato alcuna risposta: ma con quali soldi vive Gianfranco Fini? Nessun reato. Piuttosto, un’anomalia riscontrata dalla Procura che, come abbiamo raccontato ieri, ha sequestrato le due polizze perché accusa Fini di aver concorso – con la sua compagna Elisabetta Tulliani e suo cognato Giancarlo – alle operazioni di riciclaggio (e auto- riciclaggio) legate alla compravendita della famosa casa di Montecarlo svenduta da An. La vicenda – nella quale, secondo il gip Simonetta d’Alessandro, Fini ha avuto una “centralità progettuale e decisionale” – s’incastra con la figura di Francesco Corallo, il re delle slot machine, che già dal 2005, quando il suo gruppo Atlantis rischiava che i monopoli gli revocassero la concessione, aveva beneficiato – secondo l’accusa – di “un’intesa utile” con Fini. Lo stesso Corallo consentiva a Fini e ai due Tulliani di far lievitare il valore della casa monegasca, con i suoi soldi, da 300mila a 1,3 milioni di euro. Oltre a bonifici per una altro milione circa. Ed ecco il motivo per cui la procura decide di sequestrare a Fini, per equivalente, le due polizze.
ED È PROPRIO scandagliando i suoi conti che gli inquirenti sono costretti a chiedersi con quali soldi viva Fini. Si scopre infatti, analizzando i suoi conti correnti, che i prelievi sono piuttosto rari, almeno rispetto agli standard di un normale cittadino. Gli inquirenti non trovano, nella sua disponibilità, alcuna proprietà. Niente case, insomma, il che, nella vita di chiunque significa due cose: o si è ospiti – per esempio della sua compagna Elisabetta Tulliani – oppure si paga un affitto. E per pagare l’affitto, si preleva. Magari con un ban- comat. Ma stando agli atti d’indagine, e per la precisione alle dichiarazioni del suo storico segretario Francesco Proietti Cosimi, oltre a non avere proprietà, Fini non ha neanche il bancomat. Di certo, è un grande risparmiatore, considerato l’ammontare del suo conto corrente al Banco di Napoli, acceso il 14 luglio 1983, tre settimane dopo il suo primo ingresso in Parlamento, quando viene eletto deputato con il Msi. Il 17 giugno 2014 – quindici mesi dopo aver lasciato sia la presidenza della Camera, sia il Parlamento (Futuro e Libertà si ferma allo 0,47%) – Fini bonifica, dal conto del Banco di Napoli, un milione di euro su un altro conto, quello appena acceso presso Mps. E gli investigatori verificano con sorpresa che i prelievi dall’istituto napoletano sono davvero inferiori alla norma: eppure, su quel conto sono transitati tutti i suoi stipendi da parlamentare. Oltre a non prelevarli, peraltro, Fini in qualche modo li immobilizza, visto che decide di investirli nelle due polizze vita. È vero che sull’altro conto corrente, acceso presso la Banca popolare di Milano, gli restano 66 mila euro. Ed è anche vero che è proprio su questo conto che, a partire dall’ottobre 2015, la Camera dei deputati gli versa il vitalizio. Ma i pm decidono di non sequestrarglielo anche perché, proprio da quel conto, vengono accreditati gli addebiti mensili a favore della ex moglie, Daniela Di Sotto, nonché, aggiunge il gip, “alcuni limitati pagamenti ricevuti da Editoriale Libero e Società Europea di Edizioni e Comune di Firenze”.
CHE FINI non abbia mai avuto l’abitudine di prelevare dal suo conto, peraltro, l’ha dichiarato a verbale anche il suo storico segretario, Francesco Prouietti Cosimi che, interrogato dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dalla pm Barbara Sargenti, quando gli chiedono conto di un assegno da 55 mila euro, che Fini emise in suo favore, risponde: “Si tratta di denaro che serviva in contanti a Fini, lui, come spesso faceva, mi chiese di prelevare il denaro, cambiando l’assegno. Fini in banca non ci andava mai, quando aveva bisogno di contanti, mi faceva l’assegno, anche per cifre più modeste, e io prendevo i contanti. Non usava il bancomat, aveva solo la carta di credito. Le spese che doveva sostenere erano sempre pagate in contanti da me, che ero il suo segretario, e che prelevavo sempre cambiando gli assegni”.
Sotto la lente L’esame dei movimenti bancari: rarissimi prelievi e nessuna proprietà