L’EUROPA SI LIBERI DEL PIAZZISTA DI ARMI
Igoverni europei non avranno molto tempo per decidere come reagire al sacrilegio col quale Angela Merkel pare averli ammutoliti. Presto la grande crisi araba li chiamerà a dimostrare se l’Europa è in grado di emanciparsi dalla tutela americana come ha esortato la cancelliera, e soprattutto se lo desideri. Sarà capace di fare da sola (almeno in Libia)? Riuscirà a elaborare in Medio Oriente una posizione grossomodo comune, primo mattone di una possibile politica estera e di difesa?
Come spaventati dall’enormità di questa sfida per adesso gli europei tacciono, mentre soppesano convenienze e rischi della pavidità e dell’audacia.
EPPURE IN MEDIO ORIENTEi conti sono facili. Ripristinando l’idea bushiana di un Iran motore del terrorismo, Trump ha regalato alla teocrazia sciita un efficace pretesto per arroccarsi e paralizzare i riformatori, un esito che è contrario agli interessi degli europei.
In ogni caso la sovrabbondanza di nuove armi vendute nella regione dal presidente americano lascia prevedere un estendersi dei conflitti, e per conseguenza un aumento della pressione migratoria verso l’Europa. Le truppe della monarchia saudita tenteranno di sconfiggere gli Houthi filo-iraniani in Yemen, guerrieri tenaci e ormai in grado di sparare i loro razzetti sulle città del nemico. A sua volta Israele potrebbe lanciarsi per la terza volta contro Hezbollah in Libano. Da quando combatte in Siria la milizia sciita è diventata un vero e proprio esercito, forse in grado di occupare lembi di territorio israeliano, forse di colpire le città. Avigdor Lieberman, ministro israeliano della Difesa, sostiene che la guerra è “inevitabile”. Va in quella direzione la progressione seguente: in febbraio la Lega araba, un sodalizio sunnita, dichiara Hezbollah “organizzazione terrorista”; adesso Trump la equipara all’Isis (nel discorso di Gerusalemme ha messo sullo stesso piano del Califfato anche Hamas palestinese). Appena cominciassero le ostilità, i due milioni di profughi siriani riparati in Libano tenterebbero di porsi in salvo nel Mediterraneo, probabilmente via Libia.
Da tempo la Libia tracima oltre i nostri confini il suo caos, i suoi terroristi e le moltitudini di migranti intrappolate laggiù. Contiene almeno 200 mila miliziani. Attira la flotta di Putin, in cerca di basi. Pare avviata a diventare il più grande terminale degli sconquassi arabi, l’ultima ridotta dell’Isis, il trampolino di al Qaeda nel Mediterraneo: e tutto questo proprio sull’uscio dell’Europa. Che dunque ha la necessità di parare quel disastro, peraltro un prodotto della guerra neo-coloniale del 2011 fortemente voluta da Sarkozy (la Germania ne restò fuori).
Ma finora gli europei sono ricorsi a soluzioni pasticciate, ormai neppure in grado di nascondere i problemi. Nel proposito di salvaguardare l’unitarietà del Paese hanno promosso la nascita di un governo di unità nazionale, insediatosi a Tripoli nel 2015. Decisione saggia ma vanificata da un embargo Onu sulle armi che colpisce unicamente il governo di Tripoli, poiché il suo nemico, il generale Haftar, asserragliato a Bengasi, riceve forniture militari dagli Emirati, dalla Russia, dall’Egitto, nonché assistenza logistica dai francesi.
Un accordo per libere elezioni nel 2018 ha acceso le speranze di sanare il conflitto tra Bengasi e Tripoli. Ma un mese dopo averlo sottoscritto, Haftar ha fatto bombardare dalla sua aviazione una base degli avversari, che si sono vendicati massacrando una guarnigione del generale. Col che dovrebbe essere definitivamente chiaro che le elezioni concordate non si terranno mai (e per fortuna: legalizzerebbero il potere dei miliziani, molti dei quali sono solo tagliagole).
INFINE GLI EUROPEI fingono di non sapere che il barcone verso l’Italia è l’unica via di scampo rimasta ai migranti per sottrarsi alla crudeltà delle milizie. Così si affidano alla Guardia costiera libica, affinché intercetti i natanti e scarichi i passeggeri in lager denominati “centri di accoglienza”. Secondo testimonianze, la scorsa settimana i guardacoste avrebbero rapinato i migranti prima di ricondurli sulla terraferma. Sarebbe meglio fermarli, prima che facciano affogare in mare anche la credibilità morale dell’Unione europea.
Come lei stessa ha messo in chiaro, l’Europa cui Angela Merkel esorta non è alternativa alla Nato. Ma certo non riconosce un ruolo di leadership al presidente americano.
E “in una certa misura” vuole imparare a far da sola. L’intrattabile caos libico eccede la misura immaginata dalla cancelliera? Forse. Ma è così che finora è cresciuta l’Europa: oltrepassando di volta in volta la misura suggerita dalla prudenza.