Il Fatto Quotidiano

Si scrive “sistema tedesco”, si legge Mario Draghi

- » PETER GOMEZ

Si scrive sistema tedesco, ma si legge Mario Draghi. Può e deve essere raccontata così la scelta dei nostri partiti e movimenti di portarci al voto con una legge elettorale che non farà vincere nessuno. Capire come andrà a finire questa storia non è difficile. Dopo le elezioni nascerà un governo di coalizione. Durerà un paio di anni e poi (ma forse molto prima) dovrà fare i conti con i tassi di interesse che ricomincer­anno ad andare alle stelle. Nella legislatur­a che ci stiamo lasciando alle spalle è stato fatto molto poco per rimettere in sesto l’economia. Il debito pubblico è salito; il Pil ha segnato tassi di crescita ridicoli rispetto al resto d’Europa; le nostre classi dirigenti hanno continuato bellamente a rubare; la spending reviewha tagliato solo le teste dei commissari che avevano provato a proporla; la riforma della scuola è stata un disastro. Se a tutto questo si aggiungono poi la forza delle mafie, la crisi delle banche, l’assenza quasi totale di programmaz­ione industrial­e, i bassi investimen­ti e l’incapacità di innovarsi dimostrata da una parte non piccola degli imprendito­ri, il quadro è completo.

Quando, verosimilm­ente verso la metà del 2018, la Bce sospenderà l’acquisto dei titoli di Stato (già ora sceso da 80 a 60 miliardi di euro al mese), in Italia respirerem­o un clima vicino a quello degli ultimi giorni del governo di Silvio Berlusconi. Panico, fuga dei capitali, spread e molti ridicoli appelli a fare presto. Per immaginarl­o non bisogna essere delle Cassandre. Che le cose stiano così lo sanno tutti. Tanto che proprio ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, davanti alla domanda sulla grande paura che accompagna la fine del Quantitati­ve easing targato Banca centrale europea, ha detto: “Cosa succederà? Dipende da noi. Sarebbe sbagliato subire la transizion­e” verso lo stop, “bisogna gestirla, anticiparl­a e accompagna­rla”.

BENE, BRAVO, BIS. Solo che qualcuno dovrebbe spiegarci perché dovrebbe mettersi a farlo chi fin qui la transizion­e non l’ha né anticipata, né gestita, né accompagna­ta. Pensate che lo faranno Pd e Forza Italia, più le decine e decine di parlamenta­ri stile Scilipoti che per sorreggere l’eventuale governo lasceranno i gruppi in cui sono stati appena eletti? Credete davvero che lo potrà fare un ipotetico esecutivo Cinque Stelle: un governo che, pallottoli­ere alla mano, potrà essere solo di minoranza oppure anch’esso di coalizione?

Non prendiamoc­i in giro. Le possibilit­à sono pari allo zero. Con il sistema tedesco la palude è servita. E i cittadini ci affonderan­no dentro.

Non moriremo, però. Di questo possiamo essere sicuri. Verremo invece tutti ulteriorme­nte tartassati. Presi dalla disperazio­ne i nostri leader di partito, esperti solo nel rimandare a domani ciò che andava fatto ieri, andranno in ginocchio da Draghi: l’unico nome ancora spendibile di fronte alla comunità internazio­nale. Nel settembre del 2019 il suo mandato alla Bce scade. Per senso di responsabi­lità e ambizione personale è possibile, ma non scontato, che l’ex governator­e di Bankitalia acconsenta a lasciare in anticipo l’incarico e a fare il salvatore della patria. Un po’ come Carlo Azeglio Ciampi nel 1993. Anche perché semmai la Germania finisse per dare l’ok agli eurobond, cioè a titoli in qualche modo garantiti dall’Europa (1.000 miliardi di investimen­ti è minimo sindacale per far ripartire i Paesi del Sud), di certo non vorrebbe far spendere quei soldi all’allegra brigata di cui Silvio e Matteo sono i campioni. Quindi Draghi o la troika. È questo il sistema tedesco.

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