Il Fatto Quotidiano

Rottamare la Thatcher: la sfida di Theresa May

GRAN BRETAGNANo­n solo Brexit: la vera posta in gioco delle elezioni dell’8 giugno è trasformar­e i Conservato­ri in un partito anti-globalizza­zione

- » IVO ILIC GABARA

L’approccio “hard” Dai cambi ai prezzi delle case, primi effetti della linea dura nello scontro con Bruxelles

Quandoha convocato le elezioni politiche il 18 aprile scorso, Theresa May ha chiesto un mandato forte al popolo britannico per negoziare la Brexit da una posizione di forza. Il primo dubbio è stato sollevato dai negoziator­i dell’Unione europea a Bruxelles. Non vedevano nessun nesso tra la maggioranz­a dei Tory a Westminste­r e la capacità negoziale del primo ministro a Bruxelles. E infatti non c’è. Theresa May non ha bisogno di un forte mandato elettorale per negoziare la Brexit. Si è già arrogata poteri eccezional­i premendo per una Brexit rapida e dura. Il voto del referendum del 23 aprile 2016 non imponeva né l’uscita del Regno Unito dal Mercato unico e dall’Unione doganale, né prevedeva un calendario precipitos­o. Queste sono scelte politiche prese dal primo ministro e dalla sua cerchia di collaborat­ori. Dove invece la May ha bisogno di un mandato forte è nella drastica svolta ideologica che intende imporre al Partito conservato­re.

ANNUNCIAND­O il manifesto elettorale dei Tory, Theresa May ha ripudiato trent’anni di thatcheris­mo, inteso come politiche di libero mercato, privatizza­zioni, deregulati­on e riduzione dello Stato in generale. Un paragrafo del manifesto recita: “Non crediamo nei mercati liberi senza freni. Rifiutiamo il culto dell’individual­ismo egoista. Aborriamo le divisioni sociali, l’ingiustizi­a e l’i n eg u aglianza. Riteniamo che il dogmatismo e l’ideologia siano non solo innecessar­i, ma pericolosi”. Questo paragrafo potrebbe benissimo essere di Jeremy Corbyn, il leader laburista, ed emanare del suo socialismo rimasto invariato rispetto al marxismo radicale di gioventù. Letto nell’attuale manifesto del partito di Margaret Thatcher, però, lascia di stucco soprattutt­o chi in Theresa May vedeva una nuova incarnazio­ne della Lady di Ferro. La realtà non potrebbe essere più diversa. Theresa May rappresent­a un ’ Inghilterr­a introversa, dove lo Stato ha il diritto e il dovere di proteggere la mag- gior parte del popolo, e quindi il governo May con queste elezioni punta a un mandato forte per spostare il baricentro del proprio elettorato verso un ceto medio che si sente escluso o minacciato dalla globalizza­zione, dalla rivoluzion­e delle nuove tecnologie e dall’immigrazio­ne. È questo l’unico vero nesso tra la Brexit com’è voluta e imposta da Theresa May e la sua svolta ideologica.

THERESA MAY si è formata politicame­nte durante i sei anni alla guida del ministero degli Interni da dove ha perseguito una politica dell’immigrazio­ne restrittiv­a, ignorando le richieste del mondo dell’imprendito­ria e pure dei colleghi di governo. L’immi- grazione è vista solo in chiave di sicurezza, di lotta al terrorismo e d’impatto sulle ‘comunità indigene’ della provincia. L’importanza dell’immigrazio­ne per l’economia del Regno Unito, per il gettito fiscale, per la manodopera e per il sistema sanitario nazionale non ha mai fatto parte delle loro consideraz­ioni. Nel voto a favore de ll’uscita dall’Unione, la May ha visto il trionfo di questa sua visione provincial­e e restrittiv­a dell’immigrazio­ne, ed è per questo che sta guidando il Paese verso una Hard Brexit, incurante delle conseguenz­e economiche che cominciano a farsi sentire. Basti vedere il calo della sterlina nei confronti del dollaro e dell’euro, per non parlare della flessione del mercato immobiliar­e a Londra, da decenni indice della supremazia della City di Londra sui mercati finanziari mondiali. Mentre le banche principali già iniziano a trasferire personale verso altre Piazze europee e gli investimen­ti esteri vanno verso altri Paesi Ue, dove la libera cir- colazione di prodotti, capitali, servizi e manodopera non sarà messa in questione, il primo ministro conferma nel manifesto conservato­re il suo vecchio obiettivo di ridurre l’immigrazio­ne a “decine di migliaia” dagli attuali quasi 300.000 all’anno.

È sull’onda di questa radicale sterzata ideologica che la May ha deciso di convocare le elezioni anticipate, convinta com’era che l’opportunit­à di sconfigger­e il Labour di Corbyn andasse colta adesso. I suoi collaborat­ori prevedevan­o una vittoria schiaccian­te dei Tories, con un margine forse addirittur­a di 100-150 seggi in più rispetto ai Laburisti. Questa fiducia nelle proprie forze si riflette nello slogan principale e unico della campagna elettorale dei Tories, Strong and Stable, forte e stabile.

LA CAMPAGNA però non sta procedendo come previsto dai Tories e dal loro consiglier­e elettorale, l’australian­o Lynton Crosby. Con una serie di svolte improbabil­i, nel giro di un mese Theresa May si è rivelata Weak and Wobbly, debole e traballant­e, come è stata definita dal Financial Times dopo aver abbandonat­o uno dei capisaldi del manifesto elettorale, che prevedeva l’obbligo per gli anziani di pagarsi l’assistenza medica e d’altro tipo attingendo al proprio patrimonio immobiliar­e, la cosiddetta Dementia Tax. Ha cambiato posizione anche sull’aumento dei contributi assicurati­vi per i lavoratori autonomi e anche sulla stessa Brexit, visto che nel governo Cameron Theresa May era una timida Remainer.

Nessuno mette in dubbio che il Partito conservato­re vincerà le elezioni, l’8 giugno, e che Theresa May sarà primo ministro. Ma senza la vittoria schiaccian­te da lei data per scontata, con una maggioranz­a modesta di 50 o 70 seggi, Theresa May non avrà il mandato chiaro ed esplicito per imporre la sua volontà al Partito conservato­re e si troverà schierata contro l’ala tradiziona­le. E la sua posizione negoziale a Bruxelles risulterà notevolmen­te indebolita.

Twitter @igabara

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