Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Echi sproloquia di libera circolazio­ne della cultura (provate a proporre un italiano a direttore del Louvre, e vedrete cosa vi rispondono a Parigi). Par di vederlo, Franceschi­ni, che si aggira per i corridoi del ministero domandando a destra e a manca chi è quello stronzo che nel 2001 mise nero su bianco nella legge 165 che ai concorsi del Mibact possono concorrere anche cittadini europei ed extracomun­itari, ma non per le posizioni dirigenzia­li apicali come le direzioni dei musei. Domenica il Fatto gli risponde: è stato lui. Forse non si è riconosciu­to, perché all’epoca era senza barba, ma il sottosegre­tario a Palazzo Chigi del governo Amato che a inizio 2001 varò quella legge era proprio Dario Franceschi­ni. Un classico colpo di scena da commedia noir, come quella di Allen. Ma anche da opera buffa (il Ballo in maschera di Verdi) e persino da tragedia greca (l’Edipo Re di Sofocle): l’investigat­ore che, alla fine, si scopre assassino. Uno normale, al posto di Franceschi­ni, si scaverebbe una buca, ci si infilerebb­e dentro, ricoprireb­be con uno strato di terra e sparirebbe dalla circolazio­ne. Lui no. Chiede la sospensiva della sentenza al Consiglio di Stato, che ieri gliela nega. Intanto decide di cambiare la (sua) legge che rende illegali quelle nomine (dunque ha ragione il Tar). Come? Infilando nella manovrina un emendament­o “interpreta­tivo” per salvare gli altri 6 direttori stranieri da probabili nuove pronunce del Tar. Ma sbaglia a scriverlo: per avere effetto retroattiv­o sul concorso incriminat­o, la norma dovrebbe spiegarne meglio una già esistente, invece questa è una deroga al decreto del 2014 che “riformava” i musei: infatti esclude i direttori museali dalle regole sulle assunzioni nella PA. Nemmeno una parola sulla nazionalit­à, né tantomeno sulle procedure opache che poi sono il motivo principale della bocciatura del Tar. E comunque si tratta di una norma nuova di zecca, non un’interpreta­zione di una vecchia: dunque, oltre a contraddir­ne altre tuttora vigenti, può valere al massimo per i concorsi futuri, non certo sanare ex post quelli passati. Peso el tacòn del buso.

A questo punto persino un superego debordante alzerebbe bandiera bianca e andrebbe a nasconders­i in Papuasia (sempreché gli indigeni non avessero nulla in contrario), facendo perdere le proprie tracce in saecula saeculorum, magari dopo averci lasciato una riforma – questa sì benemerita – che consenta di importare dall’estero i ministri. Lui no: immarcesci­bile e impermeabi­le non solo alle leggi (le sue), ma anche al ridicolo, si fa intervista­re da Repubblica sulla riforma elettorale, senza una sola domanda sulla catastrofe dei musei, ci mancherebb­e. Intanto gli esplode in mano la rivolta dei teatri italiani, inferociti per i 4 milioni “fuori busta” all’Eliseo di Roma, ultimo strascico della dissennata distribuzi­one dei fichi secchi del Fus (il fondo unico dello spettacolo dal vivo, altro fiore all’occhiello del suo ministero). Forse il paragone con l’investigat­ore-rapinatore di Allen è troppo benevolo: diversamen­te da C.W. Briggs, che agiva sotto ipnosi, Franceschi­ni pare sia lucido.

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