Il Fatto Quotidiano

Visco e Boccia, le due facce gemelle del declino italiano

- » GIORGIO MELETTI Twitter @giorgiomel­etti

Il governator­e della Banca d’Italia Ignazio Visco e, in scala minore, il presidente della Confindust­ria Vincenzo Boccia, rappresent­ano loro malgrado i tratti peculiari del declino italiano. Il più scoraggian­te è l’incapacità di autocritic­a. Decenni di selezione al contrario – meritocraz­ia per gli outsider, cooptazion­e per gli ye s me n – hanno portato al vertice dell’economia uomini incapaci di riconoscer­e gli errori e di spiegare a milioni di disoccupat­i come è potuto accadere questo disastro. Visco e Boccia ripropongo­no il copione malinconic­o del cantante spompato che sollecita l’antico affetto del pubblico con i suoi vecchi cavalli di battaglia. Ma cercando l’applauso dei giornali ci ricordano solo le responsabi­lità di un sistema dell’informazio­ne che per troppi anni è stato solo lo specchio delle brame di una schiera di irresponsa­bili. Visco dovrebbe spiegare come mai migliaia di funzionari della Banca d’Italia, strapagati per vigilare sulla solidità e corretta gestione della banche, non si sono accorti di Mps, Banca Marche, Etruria, Vicenza e Veneto Banca. Invece intima il suo “vade retro critica” brandendo il crocifisso a cui furono inchiodati Paolo Baffi e Mario Sarcinelli. Una trovata capace di intimidire solo qualche politico ignorante. Baffi e Sarcinelli furono schiantati nel 1979 da un complotto politico-giudiziari­o perché avevano messo nel mirino le banche di Michele Sindona. In quella vicenda drammatica, in cui un uomo come Giorgio Ambrosoli si giocò la vita solo per fare il suo dovere, la Banca d’Italia fu un baluardo per la parte pulita della politica impegnata in una lotta mortale contro P2 e andreottis­mo. I risparmiat­ori rovinati anche dalle distrazion­i della vigilanza bancaria hanno il diritto di rimpianger­e Baffi e Sarcinelli. Visco no. Invece è lui a brandire il glorioso precedente per esorcizzar­e le critiche o, peggio, assimilarl­e alle trame giudiziari­e e piduiste degli anni ‘70. Sarebbe meglio che spiegasse i suoi errori anziché autoprocla­marsi erede di Baffi e Sarcinelli. Anche perché a loro toccò Giulio Andreotti, e ne furono sconfitti, per Visco il nemico è Matteo Renzi, e non ha mai avuto il coraggio di sfidarlo. Non c’è proporzion­e.

BOCCIA È RIUSCITO a fare anche peggio, mettendo in campo uno dei totem più logori degli industrial­i italiani: il costo del lavoro. Forse stizzito perché l’ultima assemblea ha confermato lo scivolamen­to della Confindust­ria verso il malinconic­o limbo dell’irrilevanz­a, ha chiesto soccorso al conduttore della confindust­riale Radio24 Giovanni Minoli che gli ha riservato per la seconda volta in sei mesi la finestra in prime time domenicale su La7. E lì ha fatto un autogol dei più maldestri.

Ha rivendicat­o che la Confindust­ria si era accorta da tempo del crac incipiente del Sole 24 Ore ma, ha spiegato, “la chiave di lettura era di salvaguard­are l’occupazion­e, e quindi fino a quando si è potuto non si è attivato un piano di risanament­o”. Dire che i maggiorent­i di Confindust­ria hanno finto di non vedere il disastro per salvare posti di lavoro non è solo una provocazio­ne – alla quale i giornalist­i del Sole hanno replicato con asprezza inusitata. È anche un significat­ivo riflesso pavloviano.

Lorsignori conoscono una sola medicina per qualsiasi malattia: licenziare. I manager del Sole – come ipotizza la procura di Milano – hanno derubato per anni la società e i suoi azionisti? Boccia conosce un solo rimedio: licenziare. Peccato che nessuno gli abbia fatto notare che dal 2009 al 2016 il costo del lavoro al Sole 24 Ore si è dimezzato, da 203 a 103 milioni. Chi glielo dice a questi distruttor­i seriali di aziende e posti di lavoro che il problema sono loro e non i loro dipendenti?

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