Si fa ma non si dice Gli “omicidi mirati” delle forze speciali
Nessuno può sapere quello che accadrà s u l t e r r e n o . La mossa migliore? Continuare la missione”. Questa è la parola d’ordine: continuare la missione, che, ufficialmente, consiste nel trovare gli obiettivi (leggi estremisti islamici) fra le rovine di Mosul e poi indicarli alle truppe di Baghdad. Se ci scappa la sparatoria – o meglio se si abbatte un terrorista che potrebbe tornare in patria a far danni – non ci saranno comunicati ufficiali.
A Mosul c’è un concentrato di corpi d’élite. La frase in apertura è del generale canadese Jonathan Vance: sulla carta, la sua operazione dovrebbe concludersi a fine mese. Ma chi può dirlo? La battaglia nell’ex capitale irachena del califfo si combatte strada per strada: sono circa 500 i jihadisti asserragliati in 10 chilometri quadrati, due o tre quartieri che difendono strenuamente. Così il generale Vance ha mandato i suoi a dare man forte alle squadre di Baghdad, con la benedizione del governo.
ALL’INIZIO I CANADESI si erano limitati ad addestrare i curdi; poi hanno stabilito che era necessario dare supporto sul campo agli iracheni. Oltre ai 200 delle forze speciali, ci sono anche 50 agenti dell’intelligence; non un dettaglio da poco. La bat- taglia di Mosul ai grandi network d’informazione non interessa più di tanto dopo la fase iniziale in cui hanno spedito gli inviati a raccontare i primi giorni dell’avanzata; una delle fonti d’informazione in tempo reale sono i social network come Twitter e Instagram, ma seguire i vari account – i peshmerga sono fra i più attivi – è una scelta precisa; ben altra cosa dal sedersi di fronte alla tv e ascoltare le ultime dal fronte dal tg serale. Eppure la battaglia infuria e coinvolge in modo diretto le truppe occi- dentali. Gli americani, rispetto ai “cugini” canadesi, non si sono limitati a tracciare le coordinate dei bunker di Daesh. Il magazine Military Times alla fine di marzo ha pubblicato un articolo che conferma come truppe speciali americane si siano mischiate a quelle d’élite irachene – la divisione Golden – indossando le stesse uniformi nere per arrivare sulla linea di fuoco. Non è proprio il massimo della trasparenza; ma gli ufficiali Usa di stanza a Baghdad hanno confermato a Military Timesche “sono
I soldati Usa senza divise regolari rischiano: ma parliamo di Daesh, li torturerebbe in ogni caso
JEFFREY ADDICOTT