Trump, petrolio e jihad la grande faida del Golfo
L’Arabia Saudita guida il fronte delle monarchie arabe che accusa il vicino Qatar di finanziare il terrorismo e voler aiutare l’Iran. Gli Usa cercano di placare la crisi
Avete presente quella platea di sfingi arabe che, il 21 maggio, ascoltarono a Ryad, impassibili e imperscrutabili, il discorso del presidente Usa Donald Trump? Ora è chiaro che non la pensavano tutti allo stesso modo, mentre Trump li incitava a combattere il terrorismo e l’ingerenza iraniana nella loro regione. Quel discorso è forse stato la miccia dell’improvvisa esplosione di ieri mattina: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto hanno rotto i rapporti diplomatici col Qatar. Il fuoco che covava sotto la sabbia del deserto diventa incendio: alcuni altri Paesi seguono, persino le Maldive; altri, come il Kuwait, o la Giordania, restano alla finestra.
In ballo, c’è il sostegno del Qatar ai gruppi integralisti; e soprattutto, la vicinanza tra Qatar e Iran. Ryad sostiene che truppe di Doha si battono in Yemen, nella guerra tra la coalizione sunnita - da cui il Qatar, che ne faceva parte, viene cacciato - e insorti sciiti sostenuti da Teheran. Il Bahrein accusa il Qatar di volere “diffondere il caos”, sobillando i media, finanziando gruppi pro-Iran e sostenendo attività terroristiche. E l’Egitto si vendica del sostegno qatariota a quel che resta della Fratellanza musulmana.
La rottura diplomatica ha molti risvolti, politici, diplomatici, economici: i collegamenti aerei e marittimi sono fortemente limitati, la frontiera terrestre della penisola qatariota, che con- fina solo con l’Arabia saudita, è praticamente chiusa. Appaiono a rischio i Mondiali di Calcio del 2022, avventurosamente affidati al Qatar, isolato in quella che può essere un’avvisaglia di guerra all’Iran per accontentare Trump e la sua famigliola ebrea, che si sono appena impegnati a vendere ai sauditi armamenti per 110 miliardi in 10 anni; o che è forse un colpo di coda della guerra intra-sunnita che va avanti da anni sotto traccia, tra servizi di al Ja- zeera – l’emittente ha sede nel Qatar – e approvvigionamenti agli jihadisti.
Nell ’ intreccio di contraddizioni del mondo musulmano, non manca nulla. Così, se l’Arabia saudita è il perno dei rapporti arabi degli Usa, il Qatar ospita il CentCom, cioè il Comando Centrale delle forze Usa in Medio Oriente: di lì, nel 2003, fu orchestrata l’invasione dell’Iraq sunnita di Saddam. La flotta Usa nel Golfo ha invece base in Bahrein.
IL SEGRETARIO di Stato Tillerson chiede ad Arabia Saudita e Qatar di risolvere le tensioni e mantenere l’unità e si propone con cautela come mediatore: “Crediamo sia importante che il Consiglio di Cooperazione del Golfo, rimanga unito”. Tillerson attribuisce le frizioni a “una lista crescente di ( conflitti) irritanti da tempo esistenti”. E smorza l’impatto della crisi nella lotta al terrorismo nella regione, osservando che tutti i Paesi coinvolti hanno espresso la loro opposizione al sedicente Stato islamico – salvo poi aiutarlo alla bisogna, magari in funzione anti-sciita e anti-iraniana. Siamo al paradosso: Riad e Doha, separati in casa, resterebbero alleati nella coalizione contro l’autoproclamato Califfo.
Ben più distaccato il commento russo: “Non ci fa piacere, ma in fondo sono affari loro”, se la cava il ministro degli Esteri Lavrov, salvo poi invitare al dialogo. Mosca, che è alleata di Teheran e del regime di Damasco, alauita e quindi sciita, non è infastidita dalla bega interna al campo sunnita, oasi americana. L’Emirato che ama fare shopping in Italia non ha certo un atteggiamento remissivo. La crisi è stata innescata dall’audacia con cui lo sceicco Al-Thani ha sfidato Ryad e Washington, chiamando il presidente iraniano Rouhani e facendogli le congratulazioni dopo il proclama anti-iraniano di Trump a Ryad. Il presidente Usa era ieri troppo impegnato a litigare col sindaco di Londra, musulmano, per occuparsi del Golfo. E gli europei lanciano inviti al negoziato con una voce così flebile che sentirla, dove c’è clangore di guerra, è impossibile.
Misure radicali Espulsione di diplomatici e cittadini del confinante, e chiusura delle frontiere