Il Fatto Quotidiano

Impresenta­bili, Bindi costretta alla resa: solo 10 Comuni controllat­i

La commission­e non vigilerà sui grandi Comuni: “Non abbiamo gli strumenti”

- » TOMMASO RODANO

Quelle di domenica sono elezioni fantasma. Non ne scrivono i giornali, non ne parlano i partiti e non se ne occupa nemmeno la commission­e Antimafia, ovvero l’or g an o parlamenta­re che dovrebbe verificare lo status giudiziari­o dei candidati e indicare gli “impresenta­bili”, coloro che hanno condanne o processi di rilievo a carico.

Ricorderet­e le elezioni Regionali del 31 maggio 2015: l’Antimafia presieduta da Rosy Bindi incluse tra i 16 impresenta­bili anche Vincenzo De Luca, l’uomo del Pd in procinto di diventare governator­e della Campania (fu inserito nella lista perché accusato di concussion­e continuata in un processa dal quale è stato assolto l’anno successivo). Alla relazione dell’Antimafia seguirono polemiche furi- bonde: De Luca definì la Bindi “infame ed eversiva” e replicò con una querela per diffamazio­ne ( poi archiviata). Più tardi il galantuomo Vincenzo ha aggiunto altri apprezzame­nti in un fuorionda di Matrix: “La Bindi è un’infame... da ucciderla”.

Nemmeno Matteo Renzi – che su De Luca continuò a puntare in Campania – si mostrò entusiasta per il lavoro della Bindi: “Mi fa molto male che si utilizzi la commission­e per regolare dei conti interni al Pd: l’Antimafia è un valore per tutti, non può essere usata in modo strumental­e”.

OGGI IL LAVORO dell’Antimafia sulle liste delle amministra­tive è quasi scomparso, ridotto al lumicino: saranno passate al vaglio solo le candidatur­e nei Comuni che tornano al voto dopo esser stati sciolti per mafia (o presso i quali è stata istituita una commission­e d’accesso per verificare le infiltrazi­oni). In tutto – a quanto fanno sapere dalla stessa commission­e – non sono più di una decina. Il voto di domenica invece riguarda complessiv­amente 1.005 Comuni italiani, tra cui 25 capoluoghi di provincia e 4 capoluoghi di Regione (Catanzaro, Genova, L’Aquila e Palermo); 8 città sopra i 100 mila abitanti.

Qui le candidatur­e resteranno senza un controllo di garanzia: la commission­e antimafia non è in grado di passare al setaccio le liste elettorali. La dichiarazi­one ufficiale che arriva da palazzo San Macuto suona come una resa: “Ci mancano il tempo e gli strumenti per portare a compimento un lavoro del genere”. Già per le amministra­tive dello scorso anno era stato adottato lo stesso criterio: le indagini erano state concentrat­e solo sulle città in cui il Comune era stato sciolto. Cos’è successo allora nel 2015, l’anno della “scomunica” di De Luca? “Quell’anno la situazione era differente – rispondono dallo staff di Rosy Bindi – perché erano chiamate al voto solo 7 Regioni, per un totale di circa 4mila candidati, molti meno rispetto alle elezioni di domenica”.

Ma la stessa Bindi la scorsa settimana ha comunicato un’altra decisione molto significat­iva, anche se la sua dichiarazi­one è passata quasi inosservat­a: “La commission­e parlamenta­re Antimafia stavolta non lavorerà sulle liste elettorali nazionali ( quelle delle prossime elezioni politiche, ndr)”. Il motivo? “Le mafie sono cambiate, sono molto più interessat­e alla politica locale”. E ha aggiunto: “Ci auguriamo che i partiti abbiano imparato la lezione”.

IL RISULTATOè che dopo le polemiche del 2015 – quale che sia la ragione reale – la Commission­e non si è più occupata di candidatur­e politicame­nte sensibili. Eppure il materiale non sarebbe mancato nemmeno in queste amministra­tive.

A Trapani, per esempio, i candidati sindaco Antonio D’Ali (Forza Italia) e Girolamo Fazio (Alternativ­a Popolare) hanno entrambi subìto misure restrittiv­e nelle ultime settimane: per il primo la Dda di Palermo ha richiesto l’obbligo di soggiorno, per il secondo sono scattati gli arresti domiciliar­i, poi revocati dal gip.

A CATANZARO il favorito è il sindaco uscente Sergio Abramo (centrodest­ra): è sotto processo per l’avvelename­nto di una diga (presto scatterà la prescrizio­ne) ed è coinvolto nel processo “Multopoli” sui politici locali che farebbero annullare le contravven­zioni ai propri amici. Lo sfidante, Vincenzo Ciconte, è imputato nella “Rimborsopo­li” calabrese. A Palermo poi c’è Fabrizio Ferrandell­i (centrodest­ra), indagato per voto di scambio politico-mafioso. Su ognuno di loro la commission­e non dirà nemmeno una parola.

Il vicepresid­ente Claudio Fava giura che non è una scelta politica, ma impotenza: “In Italia non esiste nemmeno un archivio giudiziari­o centralizz­ato. Per controllar­e tutto avremmo dovuto interrogar­e ogni distretto antimafia, ogni procura, ogni corte d’appello... La verità è che siamo all’età della pietra”.

L’impotenza

Fava: “Non esiste un archivio giudiziari­o unico, siamo ancora all’età della pietra”

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LaPresse La presidenza Claudio Fava e Rosy Bindi, al vertice della commission­e

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