Impresentabili, Bindi costretta alla resa: solo 10 Comuni controllati
La commissione non vigilerà sui grandi Comuni: “Non abbiamo gli strumenti”
Quelle di domenica sono elezioni fantasma. Non ne scrivono i giornali, non ne parlano i partiti e non se ne occupa nemmeno la commissione Antimafia, ovvero l’or g an o parlamentare che dovrebbe verificare lo status giudiziario dei candidati e indicare gli “impresentabili”, coloro che hanno condanne o processi di rilievo a carico.
Ricorderete le elezioni Regionali del 31 maggio 2015: l’Antimafia presieduta da Rosy Bindi incluse tra i 16 impresentabili anche Vincenzo De Luca, l’uomo del Pd in procinto di diventare governatore della Campania (fu inserito nella lista perché accusato di concussione continuata in un processa dal quale è stato assolto l’anno successivo). Alla relazione dell’Antimafia seguirono polemiche furi- bonde: De Luca definì la Bindi “infame ed eversiva” e replicò con una querela per diffamazione ( poi archiviata). Più tardi il galantuomo Vincenzo ha aggiunto altri apprezzamenti in un fuorionda di Matrix: “La Bindi è un’infame... da ucciderla”.
Nemmeno Matteo Renzi – che su De Luca continuò a puntare in Campania – si mostrò entusiasta per il lavoro della Bindi: “Mi fa molto male che si utilizzi la commissione per regolare dei conti interni al Pd: l’Antimafia è un valore per tutti, non può essere usata in modo strumentale”.
OGGI IL LAVORO dell’Antimafia sulle liste delle amministrative è quasi scomparso, ridotto al lumicino: saranno passate al vaglio solo le candidature nei Comuni che tornano al voto dopo esser stati sciolti per mafia (o presso i quali è stata istituita una commissione d’accesso per verificare le infiltrazioni). In tutto – a quanto fanno sapere dalla stessa commissione – non sono più di una decina. Il voto di domenica invece riguarda complessivamente 1.005 Comuni italiani, tra cui 25 capoluoghi di provincia e 4 capoluoghi di Regione (Catanzaro, Genova, L’Aquila e Palermo); 8 città sopra i 100 mila abitanti.
Qui le candidature resteranno senza un controllo di garanzia: la commissione antimafia non è in grado di passare al setaccio le liste elettorali. La dichiarazione ufficiale che arriva da palazzo San Macuto suona come una resa: “Ci mancano il tempo e gli strumenti per portare a compimento un lavoro del genere”. Già per le amministrative dello scorso anno era stato adottato lo stesso criterio: le indagini erano state concentrate solo sulle città in cui il Comune era stato sciolto. Cos’è successo allora nel 2015, l’anno della “scomunica” di De Luca? “Quell’anno la situazione era differente – rispondono dallo staff di Rosy Bindi – perché erano chiamate al voto solo 7 Regioni, per un totale di circa 4mila candidati, molti meno rispetto alle elezioni di domenica”.
Ma la stessa Bindi la scorsa settimana ha comunicato un’altra decisione molto significativa, anche se la sua dichiarazione è passata quasi inosservata: “La commissione parlamentare Antimafia stavolta non lavorerà sulle liste elettorali nazionali ( quelle delle prossime elezioni politiche, ndr)”. Il motivo? “Le mafie sono cambiate, sono molto più interessate alla politica locale”. E ha aggiunto: “Ci auguriamo che i partiti abbiano imparato la lezione”.
IL RISULTATOè che dopo le polemiche del 2015 – quale che sia la ragione reale – la Commissione non si è più occupata di candidature politicamente sensibili. Eppure il materiale non sarebbe mancato nemmeno in queste amministrative.
A Trapani, per esempio, i candidati sindaco Antonio D’Ali (Forza Italia) e Girolamo Fazio (Alternativa Popolare) hanno entrambi subìto misure restrittive nelle ultime settimane: per il primo la Dda di Palermo ha richiesto l’obbligo di soggiorno, per il secondo sono scattati gli arresti domiciliari, poi revocati dal gip.
A CATANZARO il favorito è il sindaco uscente Sergio Abramo (centrodestra): è sotto processo per l’avvelenamento di una diga (presto scatterà la prescrizione) ed è coinvolto nel processo “Multopoli” sui politici locali che farebbero annullare le contravvenzioni ai propri amici. Lo sfidante, Vincenzo Ciconte, è imputato nella “Rimborsopoli” calabrese. A Palermo poi c’è Fabrizio Ferrandelli (centrodestra), indagato per voto di scambio politico-mafioso. Su ognuno di loro la commissione non dirà nemmeno una parola.
Il vicepresidente Claudio Fava giura che non è una scelta politica, ma impotenza: “In Italia non esiste nemmeno un archivio giudiziario centralizzato. Per controllare tutto avremmo dovuto interrogare ogni distretto antimafia, ogni procura, ogni corte d’appello... La verità è che siamo all’età della pietra”.
L’impotenza
Fava: “Non esiste un archivio giudiziario unico, siamo ancora all’età della pietra”