Non è vero che Riina è moribondo: le cartelle cliniche della discordia
Dopo la Cassazione L’avvocato del Capo dei capi: “Sta male, oggi niente udienza”. Scontro su pericolosità e stato di salute
NPalermo ella sua seconda istanza di differimento della pena, presentata un mese fa, l’a vv o c at o Luca Cianferoni giura che nell’ultimo anno “la salute di Totò Riina si è aggravata: non è più in grado di deambulare e non articola le parole”. Di questo ulteriore deterioramento, il penalista non vuole dire di più “perché non sarebbe corretto”, ma annuncia che oggi con tutta probabilità il capo di Cosa Nostra non sarà in grado di presenziare al processo d'appello per la strage sul Rapido 904 ( 16 morti il 23 dicembre 1984), e poi, come prova delle recenti sofferenze, cita l'assenza dell’11 maggio nel processo per la Trattativa Stato-mafia: “Per un affaticamento cardiaco, Riina non fu ritenuto in condizioni di essere tradotto: l’udienza venne rinviata”. In realtà a Palermo fanno notare che il superboss corleonese ha sempre presenziato a tutte le udienze del processo Stato-mafia, e che l’unica diserzione, quella di maggio, riguardò un malessere temporaneo: tanto è vero che l’udienza si tenne regolarmente alla sua presenza il giorno successivo. “Riina è sempre stato vigile – dicono in Procura – al punto da aver dato la disponibilità a farsi interrogare in aula, anche se poi ha deciso di non parlare”.
MA ALLORA chi ha ragione? Quali sono le reali condizioni di salute di Totò ’u curtu, 86 anni e 33 condanne sulle spalle? È quanto dovrà stabilire il 7 luglio il Tribunale di sorveglianza di Bologna, presieduto dalla giudice Maria Antonietta Fiorillo, chiamato in causa per la secon- da volta dalla nuova istanza di Cianferoni che punta agli arresti domiciliari per lo stragista di Cosa nostra. A quella udienza, che non è l'udienza di rinvio stabilita dalla Cassazione (questa non è ancora fissata, anche se è probabile che i due procedimenti saranno unificati), sarà presente il procuratore generale di Bologna Ignazio De Fran- cisci, ex membro del pool antimafia di Palermo, che dovrà provare sia la compatibilità del quadro clinico di Riina con la detenzione, sia l’attualità del pericolo rappresentato dal boss che il procuratore nazionale Franco Roberti ha descritto come il capo di Cosa Nostra. “Abbiamo elementi per dimostrarlo – ha detto Roberti –vorrei ricordare che il pm Nino Di Matteo vive blindato proprio per le minacce di Riina. Se non è pericolo attuale questo...”. La Dna ha già offerto la piena disponibilità per integrare la motivazione del Tribunale di sorveglianza bolognese, che il 20 maggio 2016 aveva rigettato la prima istanza di Cianferoni, nei punti poi giudicati “c a re n ti ” dalla Cassazione: l’obiettivo è provare l'odierna pericolosità di Riina nonostante il decadimento fisico.
Che, indubbiamente, c’è. Anche se, sfogliando le carte, si capisce come Cassazione e Tribunale di Bologna lo valutino in modo totalmente diverso. La Cassazione, nella sentenza depositata due giorni fa, descrive il superboss come “un soggetto affetto da sindrome parkinsoniana in vasculopatia cerebrale cronica”, con plurime patologie: la “duplice neoplasia renale”, la “situazione neurologica altamente compromessa” e la “grave cardiopatia”. Una situazione complessiva che spinge gli ermellini ad affermare il diritto del detenuto “di morire dignitosamente”: ed è per questo che “il rigetto del differimento della pena da parte dei giudici bolognesi deve essere espressamente motivato”. La Suprema Corte, infine, evidenzia le “deficienze del carcere di Parma, relative alla necessità del condannato di avere un letto rialzabile che, per le sue misure, non si riuscirebbe a far entrare in cella”.
SULLE MALATTIE di Riina, invece, il Tribunale di sorveglianza era stato lapidario, sostenendo che si tratta di “patologie trattabili anche in ambiente carcerario”. La duplice neoplasia al rene destro, infatti, “è rimasta invariata”, e sui problemi neurologici il boss aveva ottenuto “un buon recupero del cammino”, anche se poi era risultato “non più autonomo nel passaggio carrozzina-letto”. Un quadro clinico stabile, insomma, sia pure con episodi critici, “ai quali si è sempre provveduto con i ricoveri all’ospedale del carcere di Parma”. Ma soprattutto un decadimento che non ha impedito al padrino di riportare nel 2013 l’ennesima condanna per minacce alla polizia penitenziaria, e che gli ha permesso “di non fare mai registrare concreti segnali di dissociazione dalla sua condotta criminale”.
Le condizioni Il legale: “Si è aggravato” Ma in Procura spiegano: “Voleva anche farsi interrogare...”