Il Fatto Quotidiano

Legge elettorale: c’è un grande futuro alle nostre spalle

- » PETER GOMEZ

Dato che in Italia, come ci insegnava Leo Longanesi, la rivoluzion­e non si può fare perché ci conosciamo tutti, i nostri eroi hanno pensato bene di provarci con la restaurazi­one. Il sistema elettorale proporzion­ale di cui tanto si discute in questi giorni è solo il primo atto. Dopo essere rientrati trionfalme­nte nella Prima Repubblica e aver istituzion­alizzato, grazie al 60 per cento di parlamenta­ri nominati, pure la partitocra­zia, noi elettori a partire dalla prossima legislatur­a proveremo più volte il brivido di altre riconquist­e. Qualcuna l’abbiamo in parte già assaggiata.

Per esempio il controllo totale da parte del governo sulla Rai che ha riportato la tv di Stato agli anni precedenti alla riforma del 1975, quella che aveva sì introdotto la lottizzazi­one, ma che almeno aveva garantito un po’ di pluralismo. Non dobbiamo però disperare. Nel quinquenni­o che verrà faremo meglio. Se, come si prevede, dopo le elezioni Pd e Forza Italia governeran­no insieme, l’esecutivo terrà saldamente in mano anche Mediaset, il principale polo televisivo privato. Con evidenti vantaggi per telespetta­tori ed editori. I palinsesti concordati a monte eviteranno inutili doppioni. I tg non remeranno mai contro e la Santa Alleanza politico-televisiva permetterà pure grosse economie di scala. Perché, ad esempio, svenarsi nell’asta per l’acquisto di un buon film o di una serie mozzafiato quando i due teorici concorrent­i si possono invece più comodament­e accordare su prezzi e spartizion­i durante degli incontri organizzat­i a margine del Consiglio dei ministri?

MA NON BASTA. Il congresso di Vienna permanente che verrà istituito nei palazzi del potere porrà pure definitiva­mente fine a ogni tipo di scontro tra politica a giustizia. Come? Riportando l’orologio della Storia a un’epoca molto antecedent­e rispetto a Mani Pulite: gli Anni 50, 60 e 70. Un periodo d’oro in cui mai (o quasi) si sentiva un eletto prendersel­a con un magistrato o con un investigat­ore. Anche perché di indagini sui potenti se ne facevano davvero poche e quando per caso ne partiva una il risultato era scontato: l’insabbiame­nto. I presuppost­i per tornare a quel fausto quarantenn­io ora ci sono tutti. Nel futuro Parlamento i deputati e i senatori decisi a resistere a ogni inchiesta giudiziari­a o giornalist­ica saranno la stragrande maggioranz­a. In questo schieramen­to, che è giusto definire di pacificato­ri nazionali, militerann­o i Dem, i forzisti e pure i leghisti.

Anche i seguaci di Matteo Salvini, come ha avuto modo di spiegare la scorsa settimana il loro leader, in materia di giustizia penale hanno infatti le idee chiare: vogliono che sia la politica a decidere che reati perseguire, sognano giudici e pubblici ministeri eletti dal popolo e in ogni caso pretendono un’assoluta separazion­e delle carriere. Ovvio, è difficile che norme di questo tipo possano essere fatte proprie dal Partito democratic­o (Forza Italia invece ci metterebbe la firma), ma l’idea che sia la politica a recuperare il suo primato piace a tutti. E quindi oggi possiamo con tutta serenità affermare che nelle prossime Camere ci saranno i numeri per mettere la mordacchia (si vedrà poi come) a magistrati e giornalist­i. Basta attendere fiduciosi. È solo una questione di tempo. Perché il proporzion­ale dei nominati non è solo perfettame­nte costituzio­nale. È pure il sistema ideale per fotografar­e questa povera Italia in crisi, brava ormai solo a camminare a passi di gambero.

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