Banche venete, ecco il piano B: un decreto pure contro l’Europa
Smiliardi: la quota di capitale che metterebbe lo Stato. Un miliardo lo ha già versato Atlante e il resto verrebbe dalla conversione in azioni di obbligazioni subordinate ul destino delle due ex popolari venete il governo Gentiloni è finito nelle sabbie mobili e l’unica via d’uscita possibile è un colpo di reni. I tecnici del ministero dell’Economia, in testa Alessandro Rivera – lo sherpa che da mesi fa la spola tra Roma e Bruxelles per trattare con gli uomini della commissaria europea Margrethe Vestager – stanno provando a scrivere un nuovo decreto legge che corregga quello delle vigilia di Natale che stanziava 20 miliardi per i salvataggi bancari. L’obiettivo sarebbe di ricapitalizzare la Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca senza attendere il semaforo verde dell’Europa.
LE DUE BANCHE venete sono allo stremo e senza un’iniezione di capitali freschi salteranno entro fine mese. Due giorni fa il cda della Popolare di Vicenza è rimasto riunito per sette ore, occupandosi soprattutto di discutere i rischi giudiziari che possono correre gli amministratori trascinando una banca decotta fino al crac. Alla festa del 2 giugno, nei giardini del Quirinale, il presidente dell’Associazione bancaria Antonio Patuelli ha posto il problema al premier Paolo Gentiloni: ricapitalizzatele per le vie brevi, ha chiesto in sostanza, e discutete con Bruxelles a cose fatte. Ieri il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, parlamentare veneto, lo ha esplicitato: “A questo punto il negoziato con la insopportabile DG Comp (direzione Concorrenza Ue, ndr) si deve concludere o con un accordo o con la autonoma iniziativa del governo anche a rischio di una procedura di infrazione”.
Resta sullo sfondo del dibattito politico la domanda se sia giusto salvare due banche bollite o se sia più igienico lasciarle fallire. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto nei giorni scorsi che “il bail in è un’ipotesi esclusa”. Dunque il governo ha due sole strade. La prima è salvare le due banche todo modo, come avrebbe detto Sant’Ignazio di Loyola, o whatever it takes, come direbbe il presidente della Bce Mario Draghi, andando incontro a un conflitto con le istituzioni europee. La seconda è seguire l’euro-disciplina di Padoan e subire un nuovo crac, dopo quello politicamente costoso delle quattro banche (Marche, Etruria, Fer- rara e Chieti) sottoposte a bail in il 22 novembre 2015. Con l’aggravante che stavolta il disastro irromperebbe nella campagna elettorale.
RIASSUMIAMO i termini del problema. Le due banche venete hanno ricevuto un anno fa dal fondo Atlante 2,5 miliardi di capitali freschi. Secondo il presidente dell’Acri (Fondazioni bancarie) Giuseppe Guzzetti, promotore di Atlante, i due aumenti di capitale sono stati fatti su “prospetti falsi”: le due banche stavano peggio di quanto era scritto sui bilanci. Infatti i 2,5 miliardi sono stati già bruciati. Adesso, in vista della progettata fusione, il piano messo a punto dall’ad di Vicenza Fabrizio Viola prevede 6,4 miliardi di nuovo capitale: 4,7 li metterebbe lo Stato, circa un miliardo l’ha già versato Atlante a fine 2016 come acconto, il resto verrebbe dalla conversione in azioni di obbligazioni subordinate. Il piano è stato sottoposto tre mesi fa alla direzione generale Competition di Bruxelles, che autorizza gli aiuti di Stato. La trattativa langue. La Vestager ha posto come condizione per il sì che un privato ci metta almeno un miliardo. Il fondo Atlante si è chiamato fuori, le altre banche italiane hanno detto “abbiamo già dato”.
Nel frattempo i correntisti fuggono dalle sospette moriture, aprendo voragini nella liquidità. Da febbraio a oggi Pop. Vicenza e Veneto Banca hanno tamponato le falle emettendo oltre 10 miliardi di obbligazioni garantite dallo Stato. A questo punto il salvataggio costerebbe allo Stato 5 miliardi, il crac almeno 10.
Gli scogli sono due. Il primo è il decreto del 23 dicembre che subordina la ricapitalizzazione al via libera di Bruxelles. Padoan non potrebbe quindi dare i soldi alle due banche senza violare la legge italiana. Perciò si ragiona su un nuovo decreto legge che consenta un intervento emergenziale in deroga ai vincoli del decreto precedente.
Il secondo scoglio è che, se Padoan ricapitalizza le due banche senza l’ok di Bruxelles, Vestager dovrebbe far partire una procedura d’infrazione che porterebbe alla condanna dell’Italia a farsi restituire i 4,7 miliardi dalle due banche. L’incognita potrebbe indurre la vigilanza Bce a non conteggiare i 4,7 miliardi nel capitale della banca, come fossero sol- di falsi. Per questo Padoan resiste all’idea della forzatura, spiegando che una ricapitalizzazione con aiuti di Stato senza l’approvazione della Commissione europea “sarebbe totalmente inutile”. La volontà del ministero dell’Economia di avere la botte piena e la Vestager ubriaca è stata rappresentata ieri dal sottosegretario Pier Paolo Baretta, parlamentare veneto come Sacconi: "Non faremo il bail in per le banche venete e non faremo una azione precauzionale senza l’ok dell’Europa. Non lasceremo sole queste banche, ma non si può fare un’azione in conflitto con l’Europa”.
I SOSTENITORI della “forzatura” oppongono alle prudenze di Padoan le ragioni dell’urgenza e un argomento: non essendoci precedenti, visto che è la prima applicazione delle nuove norme sul bail in, non è detto che la Bce “sterilizzi” la ricapitalizzazione statale assumendosi la responsabilità di far fallire le due banche. Certo è che sul drammatico rebus delle due banche venete il governo ballerà per tutta l’estate. La campagna elettorale pure.
Twitter@giorgiomeletti
Quando il tempo è denaro
Serve una soluzione per fermare la fuga dei correntisti: le due popolari rischiano di saltare entro fine mese E il crac costerebbe oltre 10 miliardi