Il Fatto Quotidiano

Ceta, non ci resta che il Canada

- » STEFANO FELTRI

▶INQUESTI ANNI

globalizza­zione spaventa molti. I politici – ma non solo loro – sembrano accontenta­rsi di solleticar­e quelle paure invece che preoccupar­si di come governare l’integrazio­ne economica internazio­nale. La Cgil di Susanna Camusso, per esempio, si scaglia contro la ratifica del Ceta, il trattato commercial­e tra Ue e Canada: “Gli accordi di libero scambio devono rispondere ai bisogni e ai diritti dei cittadini e non solo alle pressioni delle lobby economico-finanziari­e”. È una posizione di principio più che di merito. La politica commercial­e è di competenza esclusiva dell’Ue, ma la Commission­e ha deciso (a sorpresa) di stabilire che il Ceta è un accordo “misto”: deve quindi essere ratificato non soltanto dal Parlamento Ue ma anche da quelli nazionali. E l’iter si era già bloccato prima della firma con l’opposizion­e, poi rientrata, della regione belga della Vallonia. In attesa dei voti nazionali, si applicherà solo la parte dell’accordo di competenza europea. Per l’applicazio­ne provvisori­a bisogna ancora attendere che i canadesi completino l’iter, ma intanto il Consiglio dei ministri ha presentato un disegno di legge per la ratifica da parte dell’Italia, uno dei pochi Paesi ad averlo sempre sostenuto apertament­e. Per l’Italia ci saranno molti vantaggi, per esempio l’inedita protezione di 41 marchi collettivi nel mercato canadese, dove il Prosciutto di Parma (per esempio) non poteva entrare perché c’era già la sua imitazione locale. La riduzione di tariffe e l’armonizzaz­ione di standard tecnici dovrebbe far aumentare il nostro export di macchinari e prodotti agroalimen­tari, oltre ad aprire il mercato degli appalti pubblici a imprese italiane. Dopo il fallimento della governance multilater­ale della globalizza­zione (la paralisi del Wto) e lo stallo dell’approccio per macro-aree (Donald Trump ha fermato il Tpp con l’Asia e congelato il Ttip con l’Ue), prima di opporsi per principio a consolidar­e i rapporti con Paesi affini e progressis­ti come il Canada, che ha eletto il progressit­a Justin Trudeau, bisognereb­be pensarci bene. la

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