“Sull’Ilva scelta folle: un favore a banche e lobby del carbone”
Sull’Ilva il governo ha fatto una scelta politica folle sulla pelle dei tarantini e di un settore che considera strategico”. Michele Emiliano si accalora più volte, alza la voce. Non si interrompe mai. Alla fine richiama per puntualizzare: “Oggi Grillo è a Taranto. Ha parlato dai palazzi di fronte ai parchi minerari da dove si alzano le polveri che uccidono i tarantini. Il governo, con una sceneggiatura incredibile, gli dà un assist formidabile. In città si vota, e il Pd ne esce demolito”. Il presidente della Regione Puglia ce l’ha con la scelta di aggiudicare l’Ilva alla cordata Am Investco Italy, formata dal colosso europeo dell’acciaio ArcelorMittal (85%) e dall’Italiana Marcegaglia (15%). I commissari governativi l’hanno preferita a quella formata dall’indiana Jindal, da Leonardo Del Vecchio e, fino a poco tempo fa, da Arvedi e dalla Cassa depositi e prestiti. Jindal puntava a potenziare la produzione con il “pre-ridotto”, un semilavorato con cui si può colare acciaio senza bruciare carbone: è la decarbonizzazione cara a Emiliano. ArcelorMittal invece punta ai vecchi altiforni. Per il ministro dello Sviluppo Calenda è l’offerta migliore...
È sconsolante. L’Ilva era una battaglia cruciale per il Pd: poteva farsi baluardo della tutela della salute e del lavoro sancite dalla Costituzione. Così li rinnega.
Perché?
Si è preferito un progetto dannoso sotto ogni aspetto: è basato tutto sul carbone, principale causa dell’inquinamento che uccide i tarantini; prevede 6mila esuberi nel 2023 e punta ad alzare la produzione laminando bramme prodotte da stabilimenti rivali dell’Ilva. Per gli stessi tecnici dei commissari gli investimenti dichiarati sono “incoerenti” col piano, e gli esuberi rischiano di salire. Il porto di Taranto non è neanche in condizione di ospitare lo scarico delle bramme. Tutte armi nelle mani di Mittal per dire: ‘Non ce la faccio, chiudo la fabbrica’. Tanto più che l’Ue ha detto che le imporrà cessioni pesanti se dovesse superare, come è chiaro, le soglie antitrust. È già un oligopolista mondiale.
I commissari garantiscono che ha firmato un impegno vincolante a non toccare l’Ilva.
Non vale nulla. Non ci sono mezzi giuridici che lo consentano. Secondo lei preferirà chiudere uno stabilimento in Belgio piuttosto che l’Ilva, a cui servono enormi investimenti? Puntava a evitare che il suo grande rivale, con tecnologie all’avanguardia, sbarcasse in Europa. E ci è riuscito.
Perché allora questa scelta?
Il governo ha ceduto all’interesse delle banche creditrici, Unicredit e soprattutto Intesa Sanpaolo che finanzia la cordata: sperano di recuperare dei soldi, ma si sbagliano. Marcegaglia ha un debito con l’Ilva di 120 milioni. Come fa il governo ad affidargliela? Ha anche i termovalorizzatori a due passi dalla città. Ci saranno polemiche feroci, ma all’esecutivo interessa solo favorire questi soggetti.
Am ha offerto di più. Jindal ha rilanciato ma per l’Avvocatura di Stato non si può riaprire la gara.
Falso. Ho letto il parere sbandierato da Calenda: dice che non si può fare se il rilancio è solo sul prezzo, deve riguardare tutti gli aspetti. E Jindal lo ha fatto. Se andrà in tribunale lo sosterremo. Ci opporremo con ogni mezzo a un modello industriale che uccide le persone.
Farete ricorso?
Non possiamo. I dieci decreti “Salva-Ilva” ci hanno levato ogni voce in capitolo, ma appoggeremo quelli che si muoveranno, da chi ricorrerà al Tar fino ai magistrati. Ci sono elementi da approfondire. Il governo ha tutelato gli acquirenti garantendogli l’i mm u n it à penale per la violazione delle norme ambientali, indizi inquietanti della consapevolezza che si ripeteranno i reati che hanno portato al sequestro del 2012. Non temiamo di metterci contro lobby fortissime, come quella del carbone. L’Italia poteva farsi apripista di una produzione carbon free, che quasi azzera le emissioni nocive e riduce di un terzo quelle di Co2 tutelando l’occupazione. Avrebbe adempiuto agli accordi “Cop 21” di Parigi. Un capitalismo intelligente, già auspicato dal Papa. L’Italia ha anche il maggior numero di brevetti per la decarbonizzazione dell’acciaio. Una grande occasione mancata per il Paese.
Marcegaglia ha un debito con l’acciaieria di 120 milioni. Come fa il governo ad affidarla a un suo debitore? Mittal punta sul carbone, principale causa dell’inquinamento. Non è un caso che oggi Grillo sia a Taranto Ci opporremo con ogni mezzo e sosterremo chi lo farà, compresi i pm. Ci sono elementi che vanno approfonditi