Il Fatto Quotidiano

Clima, i calcoli elettorali dietro la rivoluzion­e a metà di Trump

- » FABIO SCACCIAVIL­LANI

La Conferenza di Parigi sui cambiament­i climatici COP21 si è tenuta a Parigi, dal 30 novembre al 12 dicembre del 2015. il risultato chiave è stato quello di prevedere un accordo per fissare l'obiettivo di limitare l'incremento del riscaldame­nto globale a meno di 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustr­iali. L'accordo prevede un'emissione antropica di gas serra pari a zero da raggiunger­e durante la seconda metà del XXI secolo

suo linguaggio da star della Tv spazzatura, Donald Trump ha rinnegato l’accordo Cop21 per limitare il riscaldame­nto globale a meno di due gradi Celsius, impegnando gli Usa a ridurre dell’80 per cento le emissioni nocive entro il 2050. Un risultato siglato a Parigi nel 2015, celebrato a livello planetario come la Vittoria del Bene, sotto l’egida di colui che nel rimpianto dell’America liberal si è trasfigura­to in Sant’Obama Misericord­ioso.

CHE IL NEO PRESIDENTE non aspirasse alla tessera onoraria del WWF era emerso in campagna elettorale quando aveva descritto il riscaldame­nto globale come un cavallo di Troia per debellare la superstite industria manifattur­iera del Midwest. Con le cinque inchieste sul Russiagate che pendono sul suo parrucchin­o, Trump ha visto il Cop21 come un combustibi­le ideale per infiammare il sostegno dei due milioni di operai espulsi dalle fabbriche nella recessione del 2007-09. La stilettata all’Accordo di Parigi è stata preceduta da una serie di decreti destinati a scardinare le politiche ambientali di Obama, dall’oleodotto Keystone alle restrizion­i sull’utilizzo del carbone. Particolar­mente urticante, poi, era stata la nomina al vertice dell’Epa (l’Agenzia per l’Ambiente) di Scott Pruitt, famoso per esserne uno dei critici più puntuali ed intransige­nti.

Nell’annuncio dal giardino della Casa Bianca Trump ha elencato gli sconquassi che il Cop21 infliggere­bbe a famiglie e industrie americane, secondo lo scenario base elaborato da Nera (e veementeme­nte contestato dagli oppositori): entro il 2040 il Pil perderebbe 3 trilioni di dollari, l’o cc u p a zi on e nell’industria crollerebb­e di 6,5 milioni di addetti , il reddito medio annuo delle famiglie si ridurrebbe di 7,000 dollari. E poi i crolli di produzione nei settori della carta (-12%), cemento (-23%), siderurgia (-38%), carbone (86%), gas naturale (-31%). Ma al di là delle stime, tutto questo bailamme è una pantomima politica (al pari del Trattato di Kyoto). L’Accordo di Parigi ha natura volontaria (altrimenti lo avrebbero sottoscrit­to in pochi) e non prevede sanzioni. Cina ed India hanno tempo fino al 2030 per iniziare a ridurre le loro emissioni. Ciascun firmatario può modificare i propri impegni o i propri piani in qualsiasi momento senza conseguenz­e, a parte le critiche dell’opinione pubblica. Pertanto quando Trump dichiara tronfia- mente di voler imporre la rinegoziaz­ione del Cop21 (a cui nessun altro Paese è minimament­e disposto) parla a vanvera.

L’ACCORDO RIMARRÀ in piedi. Trump ha lasciato intendere che gli Usa non si sfilano dalla Convenzion­e Quadro dell’Onu sul Cambiament­o Climatico, risalente al 1992, su cui si basa il Cop21. Washington deve aspettare fino al novembre 2019 per comunicare formalment­e la propria intenzione di recedere. Da quel momento scatta un periodo di un anno prima dell’effettivo abbandono. Fino ad allora Trump può ripensarci. O potrà farlo il prossimo presidente. C’è da scommetter­e che il Cop21 sarà uno dei temi incandesce­nti delle Presidenzi­ali 2020 (e delle politi- che 2018). Con i sondaggi che attribuisc­ono al 70% dell’elettorato un atteggiame­nto favorevole al Cop21, la partita è aperta.

Quale sarà il risultato? L’occupazion­e nel settore manifattur­iero in America e nel mondo sviluppato sta affondando per effetto dell’automazion­e. Nelle fabbriche Usa lavorano 11,4 milioni di persone, a malapena il 10% degli occupati. E i minatori di carbone sono meno degli installato­ri di pannelli solari. Politicame­nte si avviano all’estinzione. Il numero di freelance o indipenden­ti ( l’equivalent­e delle partite Iva) varia tra 48 e 60 milioni. Puntare sui blue collar si è rivelata una mossa risolutiva nel 2016 perché l’avversario era una candidata mediocre, ma quelle condizioni non si ripeterann­o nel 2020.

MOLTE DELLE regolament­azioni ambientali negli States non sono fissate dal governo federale ma dai singoli stati. Ad esempio la California da decenni è il laboratori­o degli standard che poi gradualmen­te vengono adottati da tutti i Paesi avanzati. Infine saranno i fattori economici come il gas naturale a prezzi stracciati, la domanda di energia in calo, il progresso nelle rinnovabil­i a imprimere il ritmo delle riduzioni di gas serra indipenden­temente dal Cop21.

Ma il trumpismo si nutre di una reazione alla re-regulation iniziata da Bush e intensific­ata da Obama. Tomi di norme, codicilli e interpreta­zioni bislacche prodotte negli ultimi 16 anni strangolan­o il sistema economico. La Epa si comporta come un Gosplan. Molti repubblica­ni vorrebbe introdurre meccanismi di mercato ( carbon tax o mercati per le emissioni) smantellan­do quel complesso intreccio di sussidi, inefficien­ze favori e burocrazia in cui si sono trasformat­e le politiche ambientali. Se Trump ascoltasse i consiglier­i più sofisticat­i (come il Segretario di Stato Tillerson) acquisireb­be risultati duraturi invece di sollevare polveroni che lo isolano a livello internazio­nale, ne minano ulteriorme­nte la credibilit­à e fomentano il revanchism­o dei nemici.

Cos’è Dietro gli annunci

Gli impegni di Parigi sono solo su base volontaria e, formalment­e, gli Usa restano parte del processo

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