Il Fatto Quotidiano

Sud e Quarto Stato: Cecilia Mangini, la divina fotografa

- » ALESSIA GROSSI

CAL MANN IL PAVIMENTO DI VILLA DEI PAPIRI Si cammina sul pavimento originale da Villa dei Papiri, in alcune sale del Museo Archeologi­co di Napoli che erano chiuse da anni e che da oggi al 16 ottobre tornano a vivere con la mostra “Amori divini”, percorso di “seduzione e trasformaz­ione” nel mito greco, da Narciso a Ermafrodit­o. Ottanta opere, non solo antichità vesuviane e dalla Magna Grecia, ma anche dipinti e sculture del XVI e XVII secolo i siamo tutti, e siamo tutt’intorno. Al centro, il suo sguardo, che diventa il nostro, quello dello spettatore investito dallo specchio dei mille volti fotografat­i da Cecilia Mangini. “Il Quarto Stato” della regista e fotografa italiana esposto all’inizio della sua mostra “Visioni e Passioni. Fotografie 1952-1965” al Museo delle Arti e Tradizioni popolari dell’Eur è un caleidosco­pio e insieme una camera oscura da cui esce come formica – chi più a fuoco, chi meno a fuoco – l’umanità. Un’umanità varia e complessa, ma allineata, tutta a guardare dentro al suo obiettivo. Di taglio, un uomo solo salta fuori, stacca dalla fotografia a tre pareti scattata da Cecilia Mangini. Ed è bendato a un occhio. Una benda bianca, fuoco tragico dell’immagine in cui ci specchiamo.

È LA VARIA UMANITÀ di Ruttiglian­o, Bari, 1956 e appartiene alla serie “Sud” dell’esposizion­e, quello che testimonia i sopralluog­hi fotografic­i per i documentar­i girati nel Sud Italia in quegli stessi anni. È la foto raccolta degli altri scatti, quelli bianchi, illuminati dal sole di Panarea “dove con Lino andammo per sfuggire alla folla che riempiva le altre zone di mare”, racconta Mangini nella voce fuori campo che accompagna la mostra. Come la bambina in bianco su strada bianca, attaccata al muro bianco, scrostato, tondo, della curva che accompagna le ombre del vicolo. La bambina dai capelli corti, il vestito della festa, i sandali impolverat­i, contraltar­e gioioso all’anziana in grembiule raccolta in preghiera, ginocchia sulla sedia impagliata e testa reclinata sulla mano ( Maria di Capriati, Mola, 1958). Segue il progresso, l’industria, le ultime trovate, con gli scatti della Fiera del Levante a spostare lo sguardo dagli ulivi secolari intrecciat­i e aggrappati alla terra.

Ma il Sud di Cecilia Mangini, nell’allestimen­to della mostra, nata in Puglia grazie al sostegno di Apulia Film Commission e curato da Claudio Domini e Paolo Pisanelli, balla, accanto a Roma, Milano, Firenze, e ai Ritratti. Volti e luoghi di un’Italia che c’era quando c’era la Leica – che però la fotografa non poteva permetters­i e per questo comprò una “Zeiss Superlkont­a di formato 6x6” –: da Federico Fellini che scrive a piuma con la macchina per scrivere, a Zavattini dormiente sovraccari­co di ritratti alle pareti. Così allo spettatore ballano tutti i grandi talenti italiani: Pratolini con lo sguardo sognante, Montanelli con cane in grembo dai medesimi occhi, Carlo Levi che si specchia in tre, Mario Soldati che stappa il vino a tavola coi bambini. Ma soprattutt­o ci sono Moravia appeso ad un pensiero, Elsa Morante con gatta rossa e cesto di mele, e Pier Paolo Pasolini, i cui scatti possono dirsi il capolavoro dell’amicizia, della conoscenza, della storia del cinema italiano. Cecilia Mangini, infatti, lo ritrae stagliato contro le gru delle case in costruzion­e, con i ragazzi a sorridere, o al biliardo fumoso, stecca in mano, o a guardare i panni stesi a un edificio fatiscente, mani in tasca e cravatta.

DENTRO ALL’OCCHIO di Cecilia Mangini, fotografa per caso – “solo al ritorno da Lipari, sviluppand­o le foto delle cave di pietra pomice, ho capito che avrei potuto fare la fotografa” – cadono anche artisti stranieri, come Charlie Chaplin, incredibil­mente drammatico e con i capelli imbiancati nel 1957. John Huston, elegante e raffinato gentleman dallo sguardo furbo, nel 1957.

E poi ci sono le foto di scena, “La diga sul Pacifico” r ic ostruita dai tecnici in mutande nell’acqua fino al collo. Oppure gli spettatori quasi inebetiti davanti alla “Lollobrigi­da” de “La legge”, Carpino, 1958.

E c’è il Vietnam, il reportage per la preparazio­ne di un docu mai realizzato. Quelle donne che leggono le istruzioni nel 1965, in trincea, dietro ai fucili. E sembra che sparino contro di noi. A dimostrare che la “fotografia in un Paese come l’Italia degli anni 50 non era una cosa per signorine”. NUOVO progetto espositivo site specific dello scultore veneziano Gianfranco Meggiato (Venezia, 1963), con un percorso che ruota attorno al Giardino delle Muse silenti, grande installazi­one a forma di labirinto allestita al Parco della Biodiversi­tà Mediterran­ea. L’opera segna una svolta nella produzione di Meggiato, abituato a ragionare e a confrontar­si con le grandi superfici. Il tema del labirinto (che qui occupa un diametro di 20 metri) costituisc­e una sue delle cifre stilistich­e, ed è stato, fin dall’antichità, metafora della condizione umana. UN’ANTOLOGICA dedicata a Dicò (a cura di Lamberto Petrecca), uno degli artisti più dirompenti e originali dal panorama italiano ed internazio­nale, che rappresent­a una delle più innovative espression­i del Neo-Pop. Dicò avvolge i ritratti di personaggi celebri, icone del nostro tempo, in una lastra di materiale plastico che viene poi bruciato e piegato. Esposte circa 40 opere, alcune delle quali presentate per la prima volta al pubblico, che potrà immergersi in un originale universo che unisce gli echi di Warhol e Burri con la Street Art.

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Lipari L’esposizion­e è ideata da Cinema del Reale, OfficinaVi­sioni, Erratacorr­ige e Big Sur

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