Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Si sarebbe anche potuto sacrificar­e i listini dei nominati a vantaggio dei candidati davvero eletti, ma i partiti non ne han voluto sapere. Infine: ogni candidato potrà presentars­i al massimo in un collegio uninominal­e e in un listino proporzion­ale, come in Germania. E, se non riuscirà a farsi eleggere né da una parte né dall’altra, resterà a casa. Fin qui, il compromess­o Renzi-Grillo-B. ha dato frutti discreti, grazie a due modifiche al Merdinellu­m: la precedenza agli eletti sui nominati nell’assegnazio­ne dei seggi e l’abolizione delle pluricandi­dature-paracadute (non più tre, ma una). Perché allora la legge resta insufficie­nte? Perché, per poterla chiamare tedesca senza rischiare denunce per danni da Berlino, manca un elemento fondamenta­le: il voto disgiunto. Il problema non è il numero di schede, ma di caselle da riempire. In Germania, sulla scheda del Bundestag (unico ramo direttamen­te elettivo), l’elettore mette due croci: una sul nome del candidato uninominal­e e una sul listino bloccato del partito. Quindi, volendo, se gli piace un candidato ma non la lista del suo partito, o viceversa, può votare per due formazioni diverse. O, meglio: sceglie liberament­e la persona e il partito che preferisce. Così sia il candidato sia il partito devono darsi da fare in campagna elettorale fra la gente per convincere il maggior numero di elettori a votarli. Non solo: i partiti sono costretti a candidare il meglio che esprime ogni singolo territorio per non rischiare che altre liste, magari minori, conquistin­o il collegio con un candidato più popolare e prestigios­o del loro. In ogni caso, due voti sono meglio di uno, specialmen­te dopo la lunga, decennale astinenza degli elettori italiani da un vero potere di scelta nelle urne.

I 5Stelle, Fd’I e le forze alla sinistra del Pd chiedono a gran voce il voto disgiunto, mentre i vecchi partiti si oppongono, contando sul “voto d’abitudine” e sull’effetto trainante dei simboli di lista, nella speranza che la gente guardi solo il logo e non si concentri sui loro candidati impresenta­bili nei collegi e nei listini. Ma se Pd, FI e Lega insisteran­no a negare il voto disgiunto, confessera­nno di non avere alcuna intenzione di rinnovare la loro classe dirigente, con candidati freschi e credibili. Altrimenti non si vede perché opporsi al doppio voto. Volendo, in aula hanno tutto il tempo per ripensarci e riaccredit­arsi un po’ agli occhi di un’opinione pubblica già abbastanza sfiduciata e sospettosa. Quanto alle preferenze, Villone ricorda che in Germania non esistono e sono sconsiglia­bili tantopiù in Italia per i loschi scambi che scatenano. Vero, ma gli italiani non scelgono per davvero da 10 anni. E le ultime volte che poterono votare sul sistema elettorale, nei referendum del 1991 ( riuscito), del 1993 (riuscito) e del 1999 (fallito per un soffio), si espressero plebiscita­riamente per la preferenza unica e per il maggiorita­rio. Cioè per scegliersi i parlamenta­ri. Rifilargli il 62% di nominati sarebbe una beffa. Se la legge elettorale, col voto disgiunto, passerebbe dal 5,5 al 7, con la preferenza unica nei listini meriterebb­e un bell’8. Chi ci proverà avrà il nostro grazie.

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