Le immortali serie tv dei 90 (tornati di moda) dalla A alla Z
DIZIONARIO In libreria il secondo volume sui cult per i malati di “binge-watching” con tutti i dettagli e qualche spoiler per ritrovare il sapore di “merendina” di “Beverly Hills 90210”
Qualche tempo fa, su Sky, girava una pubblicità in cui c’era una donna di mezza età, sola, seduta sul divano in compagnia del suo gatto, che in piena notte non riusciva ad andare a dormire, a percorrere quei pochi metri che la separavano dal letto, perché era troppo curiosa di guardare l’episodio successivo di una serie tv. Lei, come tanti, era vittima del cosiddetto b i nge-watching, in un’epoca di cinema vuoti e di case sempre più piene, aspettando quel futuro prossimo che immaginava Aldo Nove, dove anche gli adulti metteranno il pannolino, per non perdersi neanche un istante di una serie tv.
E AL POSTO dei vari Mereghetti e Farinotti, oggi, è arrivato in libreria Il mio secondo dizionario delle serie tv cult ( pp. 512, 19 euro), scritto a quattro mani da Matteo Marino e Claudio Gotti, con i disegni di Daniel Cuello, e pubblicato da BeccoGiallo. Come nel primo dizionario, dedicato a serie come 24, Breaking Bad, Dawson’s Creek, Friends, Lost, I segreti di Twin Peaks, True Detective, nella “seconda stagione” i due autori han-
no scelto di muoversi tra alcune serie cult degli anni Novanta, una su tutte Beverly Hills 90210, e altre nuovissime come Black Mirror e Stranger Things.
Anche il metodo è rimasto lo stesso, un’analisi accurata e brillante, che nella forma conserva un’impronta narrativa, a partire dalla voce “Iniziare”, che introduce la serie dalla sigla a tutto quello che verrà dopo, per poi passare alle voci “Perso naggi”, “Mar chio”, “Salto dello squalo”(uno o più errori nella sceneggiatura), “Firma”, “Vite parallele” (somiglianze e rimandi), “Ser(i)endipità”, spargendo qua è là degli avvisi di spoiler per i lettori che non hanno ancora visto tutta la serie.
A differenza dei film, a parte alcuni casi come Boyhood e la Saga di Doinel inventata da Truffaut, nelle serie i personaggi (almeno quelli principali) non cambiano, “li vediamo crescere e a volte invec- chiare proprio mentre cresciamo e invecchiamo pure noi”. Così è successo con Brandon, il “ragazzo della classe accanto”, Brenda, tanto bella quanto insicura, Kelly, la bambolina snob, Donna, un po’ribelle, e gli altri personaggi di Beverly Hills, serie cult nata nel 1990 e arrivata in Italia quando “avevamo appena finito di essere I ragazzi della Terza C”.
La vera rivoluzione di Beverly Hills è che per la prima volta gli adolescenti si sentono ascoltati, capiti, presi sul serio.
E a rivederla oggi, “da grandi”, su delle vecchie vhs impolverate, tra il duetto chitarra/sax della sigla, le t-shirt più grandi di due taglie, i Levi’s a vita alta, Beverly Hills rappresenta la “quintessenza degli anni Novanta”, che almeno tra adolescenti e post-adolescenti sembrano essere tornati di moda.
NON POSSIAMO affezionarci, invece, ai personaggi di Black Mirror, visto che cambiano in ogni episodio, anche all’interno della stessa stagione.
A rimanere impresse sono le immagini, le scene, la nostra realtà portata all’eccesso, in un futuro fatto di premier che si scopano maiali in mondovisione, di cheapnascosti nell’orecchio che conservano tutti i nostri ricordi, di persone che sorridono sempre quando si incontrano per acquisire più like, un futuro che, come uno “specchio nero” appunto, somiglia fin troppo al nostro presente.
E anche le dinamiche di House of Cards ci sembrano familiari, con il cinico e spietato Frank Underwood (Kevin Spacey) che affiancato dalla moglie prepara la sua scalata al potere, in una versione modernissima de Il Principe di Machiavelli e del Riccardo III di Shakespeare. Poi How I Met Your Mother (una sorta di Friends 2.0), Les Revenant, scritto in parte da Emmanuel Carrère, in cui i morti tornano dai vivi ma per fortuna non da zombi o fantasmi o vampiri, e infine il vero capolavoro di questi ultimi anni, Stranger Things, che tra richiami a E. T., ai G o onies, a Stand by Me, le musiche dei Joy Division, gioca con la nostalgia di chi ha vissuto l’infanzia negli anni Ottanta, di chi li ha mancati per poco, e diventa “la nostra madeleine, o meglio la nostra merendina”.