La Lady di Latta senza i voti fa il governicchio con gl’irlandesi
REGNO UNITO Maggioranza risicata per la May. E l’Unione europea gongola
■ La premier ieri ha già formato una coalizione per governare e portare avanti la Brexit. Può contare su solo 2 seggi: trattative con Ue più complicate
Ieri, all’alba, Theresa May ha avuto la certezza di aver perso la scommessa politica della sua vita: la conta finale è di 318 seggi per il Partito conservatore, 12 meno che nel Parlamento uscente, e il 42% dei voti.
Ha vinto le elezioni, ma ha perso la faccia. Voleva una maggioranza amplissima, di 60, 100 seggi: si ritrova sotto la soglia minima di 325, senza margini di manovra.
Il Labour di Corbyn ne ha 261, il 40% dei voti: una crescita di 11 punti in sette settimane, tre milioni di elettori in più.
Il primo ministro reagisce subito: dopo una visita lampo alla Regina, annuncia la formazione di un nuovo governo. Ma deve turarsi il naso: stringe un accordo con il Democratic Unionist Party, la principale formazione politica nord-irlandese, che offre 10 seggi, portando la maggioranza a 328, due sopra la soglia minima.
Il Dup, guidato da Arlene Foster, è un partito contrario all’aborto, ai diritti degli omosessuali, che nega il cambiamento climatico ed è favorevole a una soft Brexit. Non garantisce nemmeno una coalizione formale: solo un appoggio esterno condizionato, da trattare di volta in volta, voto parlamentare per voto parlamentare.
In cambio ottiene due promesse, per ora: consistenti concessioni economiche e la garanzia che dopo Brexitl’Irlanda del Nord non godrà di uno statuto speciale, come vogliono gli indipendentisti del Sinn Fein.
Ma ora la May non ha alternative, se vuole prevenire una rivolta interna – all’alba di ieri la prospettiva di dimissioni è apparsa per qualche ora possibile – e presentarsi da leader, per quanto azzoppata, all’inizio dei negoziati di Brexit, il 19 giugno.
Annuncia un rimpasto di governo, ma non ha la forza di imporlo: in serata la conferma che i principali ministri (Economia, Interni, E- steri, Brexit e Difesa) restano al loro posto.
Quello che colpisce però, nel suo annuncio fuori Downing Street, è il messaggio. “Quello di cui il Paese ha bisogno più che mai è la stabilità. Ora andiamo a lavorare”. Come se niente fosse, come se questa vittoria di Pirro non fosse una chiara indicazione che perfino molti suoi elettori hanno respinto la sua visione del futuro del Regno Unito, il suo programma e le sue priorità di governo.
Lei tira dritto: una disconnessione dalla realtà che molti commentatori non hanno potuto fare a meno di sottolineare.
Mercanteggio La conservatrice dovrà trattare di volta in volta per ottenere i voti in Parlamento
E Corbyn? Ha perso le elezioni, ma ne è il vincitore. Si gode il trionfo senza perdere l’imperturbabilità che gli è valsa il soprannome di Mr Zen, ma è efficace quando commenta che è Theresa May la vera, grande sconfitta, punita per le sue scelte, condivise praticamente solo con i suoi consiglieri più stretti, di convocare elezioni anticipate, personalizzare la campagna, inserire punti controversi nel programma. E che quindi dovrebbe dimettersi. Una richiesta a cui si unisce il leader dei Lib-Dem Tim Farron, forte di una prova discreta del suo partito, che guadagna tre seggi e arriva a 12.
Il terremoto politico di queste elezioni fa altre vittime: i nazionalisti scozzesi perdono molto, 19 seggi, cedendone 12 ai Conservatori scozzesi di Ruth Davidson, sei ai Laburisti e tre ai Libdem, tanto che la loro leader, Nicola Sturgeon, ammette la necessità di una profonda riflessione sulla strategia, in particolare sulla richiesta per un secondo referendum indipendentista dopo quello fallito nel 2014.
E l’Ukip scompare: perde l’unico seggio che aveva e il segretario Paul Nuttal, che si dimette in mattinata.