“Ora rassegnatevi: le maggioranze le fa il Parlamento”
Contrordine Le leggi elettorali restano quelle della Consulta con la soglia all’8% in Senato: accordo da Calenda alla sinistra
Non sarà la grande chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa, ma una coalizione da Carlo Calenda a Giuliano Pisapia sì. È la “nuova” giravolta di Matteo Renzi nel giorno in cui appare chiaro che la legge elettorale tedesca è sostanzialmente un ricordo del passato. L’ultimo chiodo sulla bara del “tedeschellum” lo hanno messo gli altoatesini della Südtiroler Volkspartei, che ieri hanno scritto una lettera a Paolo Gentiloni e ai capigruppo del Pd. Contenuto: se l’iter della legge elettorale che vuole estendere il proporzionale al Trentino Alto Adige (dove vige il Mattarellum) continuerà, noi usciremo dalla maggioranza.
Per l’esecutivo in Senato sarebbero dolori: i bersaniani di Articolo 1 hanno già un piede fuori e dunque a Palazzo Madama i 5 senatori autonomisti di Trento e Bolzano hanno il loro peso. Provvede ad archiviare tutto il renziano Lorenzo Guerini: “Niente e nessuno minerà l’amicizia tra Pd e Svp. Insieme continueremo a sostenere con forza il governo. Non uscirà da questo Parlamento nessuna legge elettorale che leda le giuste richieste di Svp”.
ADDIO SISTEMA simil tedesco allora e avanti con la legge che c’è. Renzi e il Pd sono convinti che non ci sia possibilità di fare alcun accordo e dunque, a parte le correzioni sulle quote di genere da fare all’ultimo secondo, si voterà (nel 2018) con le leggi elettorali disegnate dalla Consulta nelle senten- ze che hanno bocciato prima il Porcellum e poi l’Italicum. Funzionano così: alla Camera c’è un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 3% e un premio di maggioranza (fino al 55% dei seggi) per la lista vincitrice che superi il 40% dei voti; in Senato, invece, niente premio di maggioranza, ma diversi sistemi di sbarramento (all’8% per le liste, al 20% per le coalizioni, all’interno delle quali, però, eleggono senatori le liste che superano il 3%). In sostan- za, il prossimo sarà un governo di coalizione e qui arriva l’ennesima conversione di Matteo Renzi.
Negli ultimi due giorni dal Nazareno, tra le altre, sono partite due telefonate di un certo rilievo per ciò che qui interessa: una a Giuliano Pisapia, una a Carlo Calenda. L’idea sottostante è riproporre lo schema degli anni 90: una vasta coalizione genericamente “riformista” con al centro il Pd.
I rapporti di Renzi col ministro dello Sviluppo economico erano tesi da parecchio tempo: ora, però, l’ex premier ha rassicurato Calenda sull’unica cosa che gli preme, cioè il voto alla scadenza della legislatura ( marzo 2018). L’idea renziana è che il ministro amato dall’establishment italiano ed europeo possa essere la figura di riferimento di una lista moderata: modello Monti o, volendo, Macron con pezzi di centristi come i ministri Galletti e Costa. Calenda, va detto, non ci pensa proprio e ha ripetuto che non è disponibile a impegni pre-elettorali. Tradotto: in un futuro governo forse, candidato no, grazie.
Con Pisapia, invece, la faccenda è più complicata: intanto, come ha spiegato l’interessato, l’opzione è praticabile solo se si fanno le primarie di coalizione ( Renzi-Prodi vs Pisapia-Bertinotti), ma il segretario del Pd non pare propenso. Qualora il tempo e i sondaggi dovessero portargli consiglio, però, sarebbe Pisapia a trovarsi male in arnese: una coalizione col Pd è improponibile per Sinistra Italiana e poco digeribile pure per Articolo 1, che ha fatto del “superamento del renzismo” una sorta di parola d’ordine.
PARADOSSALMENTE quello che può affrontare il futuro con l’animo più sereno è il precario per eccellenza: Paolo Gentiloni. Ora starà saldo per un po’, puntellato dalle debolezze dei parenti serpenti della sua maggioranza: si sente talmente a posto che ieri, dopo aver sedato un po’ di discussioni in Consiglio dei ministri, ha dato il via libera alla questione di fiducia sul ddl penale, cioè l’ircocervo da 40 e dispari articoli che contiene, tra le altre cose, il prolungamento dei tempi per la prescrizione e la delega per riformare le intercettazioni. Era bloccata alla Camera per il veto di Alfano e soci: ora, però, i centristi non possono disturbare il governo, l’ultimo argine tra loro e una campagna elettorale in cui tutti (Renzi e Berlusconi in primis) vogliono farli fuori.
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