RIINA, LA CORTE HA SBAGLIATO TUTTO IN DIRITTO
L’ex giudice Esposito analizza la sentenza sulle condizioni di salute del boss
La sentenza della Corte di Cassazione n. 7766/2017 ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna che aveva rigettato la richiesta di Riina Salvatore di differimento dell’esecuzione della pena ovvero di detenzione domiciliare. Tale decisione ha suscitato grande scalpore ed è stata duramente contestata dai parenti delle innumerevoli vittime degli attentati ordinati dal sanguinario capo di Cosa Nostra. Ora, la questione è strettamente giuridica. La Cassazione avrebbe dovuto, come richiesto dal procuratore generale di udienza, dichiarare inammissibile il ricorso.
Invero, contro le ordinanze del Tribunale di Sorveglianza l’art. 71 ter Ordin. Penit. prevede il ricorso per Cassazione solo per “violazione di legge” e, cioè, per “inosservanza o erronea applicazione di legge” o per “inosservanza di norme processuali” (art. 606 lett. be c), con assoluta esclusione di poter ricorrere per “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione”(art. 606 lett. e). Nel caso di specie, la Corte si sofferma, invece, su tale vizio potendosi leggere: “Ritiene il Collegio che la motivazione adottata (...) è carente e, in alcuni tratti, contraddittoria”. E, ancora, “osserva la Corte che tale prospettiva di valutazione è parziale e, pertanto, inadeguata a sostenere la ritenuta compatibilità delle condizioni di salute del ricorrente”; e, ancora: “Osserva la Corte che l’ordinanza impugnata incorre in una intrinseca contraddittorietà della motivazione”; e, infine, “tale contraddizione è messa in ancor maggior risalto nella parte conclusiva dell’ordinanza”.
Trattasi, all’evidenza, di valutazioni che si sostanziano in censure, non consentite, sul discorso motivazionale dell’or- dinanza, ritenuto “carente” e, più volte “contraddittorio”. Né in alcuna parte della sentenza si afferma che l’ordinanza era affetta da “sostanziale inesistenza della motivazione” o “mancava del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice” (circostanza che, secondo un orientamento della Cassazione, potrebbe integrare il vizio “violazione di legge)”. E, del resto, la Corte non avrebbe potuto affermare ciò avendo il Tribunale esaminato ogni aspetto della vicenda.
In particolare, il Tribunale ha, anche, motivato su come la possibilità del prospettato esito infausto (e, cioè, la morte del detenuto) integri una “condizione di natura” comune a tut- ti, anche se non detenuti e, pertanto, era una circostanza neutra ai fini della valutazione del senso di umanità richiesto dalla Costituzione nell’espiazione della pena. Rispetto a tale motivazione, la Cassazione esprime “dissenso” e tale “dissenso” si risolve in una mera, diversa valutazione, e non si comprende in che termini dovrebbe nuovamente e diversamente motivare il Tribunale essendo giurisprudenza costante della Corte che le condizioni di salute che rilevano – ai fini di ritenere contrario al senso di umanità la detenzione “intra moenia” – sono quelle tali da non poter essere praticate neppur mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi
dell’art. 11 L. n. 354/1975”.
Il provvedimento del Tribunale è ancor più motivato facendo esplicito riferimento alle “relazioni sanitarie”(che cosa si vuole altro!!) dalle quali “non emergeva che le pur gravi condizioni di salute fossero tali da rendere inefficace qualunque tipo di cure”, ed emergeva “la trattabilità delle patologie del detenuto anche in ambiente carcerario” anche “in considerazione del continuo monitoraggio delle patologie cardiache di cui il detenuto era affetto”, e come “episodi di aggravamento fossero stati adeguatamente fronteggiati con tempestivi interventi di ricovero”, addirittura “presso l’azienda ospedaliera universitaria di Parma”.
Secondo il Tribunale era da “escludere il superamento dei limiti inerenti al rispetto del senso di umanità” attesa la “i- doneità della struttura penitenziaria ad apprestare interventi urgenti nulla aggiungendo lo stato di detenzione alla sofferenza della patologia”.
Infine, la Cassazione afferma che il Tribunale non avrebbe motivato se la pericolosità del Riina potesse considerarsi attuale a seguito della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute. Anche questa affermazione è inesatta. Il Tribunale ha, innanzitutto, evidenziato “l’altissimo tasso di pericolosità del detenuto, soggetto di notevolissimo spessore criminale che ricopriva la posizione di vertice assoluto dell’organizzazione criminale Cosa Nostra”, e poi ha spiegato come il Riina era “ancora pienamente operante” e che “non era necessaria – nonostante l’attuale stato di salute e dato il ruolo apicale rivestito dal detenuto – una prestanza fisica per la commissione di ulteriori gravissimi delitti nel ruolo di mandante”.
Si è anche qui in presenza di una adeguata motivazione incensurabile in sede di legittimità ove, come si è detto, poteva, peraltro, essere solo fatta valere la “violazione di legge”, e giammai dedotti vizi della motivazione.
Il Tribunale aveva adeguatamente motivato. E comunque il ricorso non è ammissibile per vizi di motivazione