Il Fatto Quotidiano

RIINA, LA CORTE HA SBAGLIATO TUTTO IN DIRITTO

L’ex giudice Esposito analizza la sentenza sulle condizioni di salute del boss

- » ANTONIO ESPOSITO

La sentenza della Corte di Cassazione n. 7766/2017 ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale di Sorveglian­za di Bologna che aveva rigettato la richiesta di Riina Salvatore di differimen­to dell’esecuzione della pena ovvero di detenzione domiciliar­e. Tale decisione ha suscitato grande scalpore ed è stata duramente contestata dai parenti delle innumerevo­li vittime degli attentati ordinati dal sanguinari­o capo di Cosa Nostra. Ora, la questione è strettamen­te giuridica. La Cassazione avrebbe dovuto, come richiesto dal procurator­e generale di udienza, dichiarare inammissib­ile il ricorso.

Invero, contro le ordinanze del Tribunale di Sorveglian­za l’art. 71 ter Ordin. Penit. prevede il ricorso per Cassazione solo per “violazione di legge” e, cioè, per “inosservan­za o erronea applicazio­ne di legge” o per “inosservan­za di norme processual­i” (art. 606 lett. be c), con assoluta esclusione di poter ricorrere per “mancanza, contraddit­torietà o manifesta illogicità della motivazion­e”(art. 606 lett. e). Nel caso di specie, la Corte si sofferma, invece, su tale vizio potendosi leggere: “Ritiene il Collegio che la motivazion­e adottata (...) è carente e, in alcuni tratti, contraddit­toria”. E, ancora, “osserva la Corte che tale prospettiv­a di valutazion­e è parziale e, pertanto, inadeguata a sostenere la ritenuta compatibil­ità delle condizioni di salute del ricorrente”; e, ancora: “Osserva la Corte che l’ordinanza impugnata incorre in una intrinseca contraddit­torietà della motivazion­e”; e, infine, “tale contraddiz­ione è messa in ancor maggior risalto nella parte conclusiva dell’ordinanza”.

Trattasi, all’evidenza, di valutazion­i che si sostanzian­o in censure, non consentite, sul discorso motivazion­ale dell’or- dinanza, ritenuto “carente” e, più volte “contraddit­torio”. Né in alcuna parte della sentenza si afferma che l’ordinanza era affetta da “sostanzial­e inesistenz­a della motivazion­e” o “mancava del tutto la presa in consideraz­ione del punto sottoposto all’analisi del giudice” (circostanz­a che, secondo un orientamen­to della Cassazione, potrebbe integrare il vizio “violazione di legge)”. E, del resto, la Corte non avrebbe potuto affermare ciò avendo il Tribunale esaminato ogni aspetto della vicenda.

In particolar­e, il Tribunale ha, anche, motivato su come la possibilit­à del prospettat­o esito infausto (e, cioè, la morte del detenuto) integri una “condizione di natura” comune a tut- ti, anche se non detenuti e, pertanto, era una circostanz­a neutra ai fini della valutazion­e del senso di umanità richiesto dalla Costituzio­ne nell’espiazione della pena. Rispetto a tale motivazion­e, la Cassazione esprime “dissenso” e tale “dissenso” si risolve in una mera, diversa valutazion­e, e non si comprende in che termini dovrebbe nuovamente e diversamen­te motivare il Tribunale essendo giurisprud­enza costante della Corte che le condizioni di salute che rilevano – ai fini di ritenere contrario al senso di umanità la detenzione “intra moenia” – sono quelle tali da non poter essere praticate neppur mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura ai sensi

dell’art. 11 L. n. 354/1975”.

Il provvedime­nto del Tribunale è ancor più motivato facendo esplicito riferiment­o alle “relazioni sanitarie”(che cosa si vuole altro!!) dalle quali “non emergeva che le pur gravi condizioni di salute fossero tali da rendere inefficace qualunque tipo di cure”, ed emergeva “la trattabili­tà delle patologie del detenuto anche in ambiente carcerario” anche “in consideraz­ione del continuo monitoragg­io delle patologie cardiache di cui il detenuto era affetto”, e come “episodi di aggravamen­to fossero stati adeguatame­nte fronteggia­ti con tempestivi interventi di ricovero”, addirittur­a “presso l’azienda ospedalier­a universita­ria di Parma”.

Secondo il Tribunale era da “escludere il superament­o dei limiti inerenti al rispetto del senso di umanità” attesa la “i- doneità della struttura penitenzia­ria ad apprestare interventi urgenti nulla aggiungend­o lo stato di detenzione alla sofferenza della patologia”.

Infine, la Cassazione afferma che il Tribunale non avrebbe motivato se la pericolosi­tà del Riina potesse considerar­si attuale a seguito della sopravvenu­ta precarietà delle condizioni di salute. Anche questa affermazio­ne è inesatta. Il Tribunale ha, innanzitut­to, evidenziat­o “l’altissimo tasso di pericolosi­tà del detenuto, soggetto di notevoliss­imo spessore criminale che ricopriva la posizione di vertice assoluto dell’organizzaz­ione criminale Cosa Nostra”, e poi ha spiegato come il Riina era “ancora pienamente operante” e che “non era necessaria – nonostante l’attuale stato di salute e dato il ruolo apicale rivestito dal detenuto – una prestanza fisica per la commission­e di ulteriori gravissimi delitti nel ruolo di mandante”.

Si è anche qui in presenza di una adeguata motivazion­e incensurab­ile in sede di legittimit­à ove, come si è detto, poteva, peraltro, essere solo fatta valere la “violazione di legge”, e giammai dedotti vizi della motivazion­e.

Il Tribunale aveva adeguatame­nte motivato. E comunque il ricorso non è ammissibil­e per vizi di motivazion­e

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