La “Lady di Latta” rischia di essere impallinata subito
Martedì il voto di fiducia. Corbyn pronto a un esecutivo di minoranza
Èlo scenario politico più temuto, lo spauracchio degli investitori, la prospettiva che nelle settimane di campagna elettorale non veniva nemmeno presa in considerazione: l’hung parliament, letteralmente il Parlamento appeso.
Si chiama così la situazione in cui il partito che vince le elezioni non ottiene però la maggioranza, cioè non raggiunge la soglia dei 325 seggi alla Camera dei Comuni. Uno scenario del genere può lasciare il paese in un limbo, con un primo ministro impotente ma inamovibile, fino alla verifica della possibilità di formare un nuovo governo. La May si è mossa rapidamente e ha scongiurato questa incertezza.
Ma per uscirne presto ha dovuto escludere l’idea di una vera e propria coalizione: innanzitutto nessuno dei partiti maggiori sembra disposto, e poi questo tipo di accordo richiede impegni precisi e lunghe trattative (quella fra Conservatori e Lib-dem nel 2010 richiese cinque giorni, che la May non si può permettere).
QUELLO STRETTO con i conservatori unionisti irlandesi è, quindi, un accordo di confidence-and-supply, in cui i 10 parlamentari del Dup si impegnano a sostenere il governo sul voto di bilancio e nelle votazioni sulla fiducia, non ottengono dicasteri ma ricevono concessioni speciali sulle loro priorità politiche. Si tratta, naturalmente, di accordi fragili, specie con un margine risicato come quello attuale di soli 3 voti sopra la soglia minima di 325.
Il nuovo governo May rischia di avere difficoltà già subito dopo l’insediamento previsto per martedì 13 giugno, se nel nuovo Parlamento dovesse prevalere una maggioranza anti-Tory in grado di respingere, dopo il dibattito parlamentare, il Discorso della Regina, cioè la presentazione dei provvedimenti governativi per l’anno in corso.
Se questo avvenisse, e il governo venisse “sfiduciato” dalla maggioranza, spetterebbe a Jeremy Corbyn l’incarico di formare un governo. Ieri il leader laburista ha dichiarato: “Siamo pronti a servire il Paese mettendo in pratica il nostro programma”, ma ha aggiunto che non è disposto ad accordi con altri partiti: con 261 seggi e senza alleati, il Labour potrebbe solo formare un governo di minoranza, a sua volta soggetto a enorme instabilità, da cui uscire con nuove elezioni politiche. Un caos politico alla vigilia dell’inizio dei negoziati su Brexit, fra dieci giorni.
NEL SUO DISCORSO di presentazione del nuovo governo, ieri mattina, Theresa May si è detta fiduciosa che l’alleanza con il Democratic Unionist Party consentirà al governo di “incanalare le energie su un buon accordo sulla Brexit che funzioni per chiunque nel Regno Unito e assicuri una nuova partnership con l’Unione europea. È quello per cui la gente ha votato nel giugno scorso ed è quello che porteremo a casa”.
Tira dritto, ma nega la realtà: il responso delle urne non le conferisce il “mandato forte” su cui puntava per negoziare l’uscita dalla Ue. E ora tutte le opzioni tornano possibili, incluse quella di uno stallo, di una soft-Br ex ito, per quanto remoto, data l’opposizione di Corbyn, di un secondo referendum.
Il presidente della Commissione europea JeanClaude Juncker ha commentato l’esito del voto dicendo: “Spero che non avrà un impatto rilevante sulle negoziazioni che siamo ansiosi di avviare, e che non comporterà ritardi nella loro conclusione”.
Ma con un quadro politico britannico così precario e la scadenza dei negoziati fissata al marzo 2019, l’impresa, già titanica, sembra ora impossibile.
Siamo pronti a servire il Paese mettendo in pratica il nostro programma, ma senza accordi con altri partiti
JEREMY CORBYN