L’Italia si muove lenta: ma per andare dove?
CARO FURIO COLOMBO, il treno è fermo. Nessuno sale,nessuno scende. Non si riesce neppure a fare una modesta legge elettorale, e gli scontri accaniti coprono il vuoto. Vorrei avere speranza. Ma in che cosa? ALBERTO LA SITUAZIONE È TRA LE PIÙ STRANE nella vita di questo Paese, certo dopo la Liberazione e il ritorno della democrazia. C’è un governo con maggioranza e poteri. Ma non governa perché tutto, in esso, persone, progetti, attese, dipende da un altro governo, che c’era, forse ci sarà di nuovo, ma non c’è. Il governo italiano di questi mesi, di questi giorni, non è debole, è bene educato.
È cosciente di essere stato istituito per occupare un tempo e uno spazio politico che si è supposto breve e provvisorio, e dunque amministra ma sta bene attento a non prendere decisioni che cambino il quadro politico. La disavventura che stiamo vivendo è che non c’è nessun quadro politico.
Chi è passato prima dalle stesse stanze ha lasciato detto di non toccare e non spostare niente, ma non c’era niente né da conservare né da manomettere.
Se ti affacci fuori dalle stanze del potere (o dei bottoni, come si diceva in epoche più avventurose) ti accorgi che non c’è un Parlamento di cui si possa dire: “Facciano i legislatori”.
I legislatori non fanno. Sono aggregati e disaggregati in formazioni che non possono o non sanno decidere, e non è sicuro che essi stessi, a parte le invettive del linguaggio d’aula, sappiano di chi è la colpa. I leader devono parare contemporaneamente i colpi contro la casa (il partito) e dentro la casa
(tutti sono invisi all’interno del proprio partito, salvo coloro che non hanno mai governato, e stanno attenti a non farlo). Infatti (i “nuovi”) restano uniti nella denuncia di tutti gli altri, uniti nel dare la colpa al “prima”, per non guardare in faccia il terrore di diventare il “prima” essi stessi. Appena compi un atto di governo (vedi la complicata storia dei governi nelle città) sei preso dalla maledizione del fare.
Fare politica, fare governo, affrontare un problema. Ma, rispetto all’accumulo di problemi non risolti e neppure affrontati, tutti (tutti) i personaggi in campo appaiono piccoli e tutti (tutti) se devono parlare del dopo, divagano.
Il nostro Paese non ha una politica estera perché ciascuno accusa un altro di essere nel tempo e nel luogo e con gli alleati (o i nemici) sbagliati. E non ha una politica economica perché non ha (non ha più) né Confindustria né sindacati. O meglio, li ha deboli e incerti come il governo che non deve toccare nulla nelle stanze in cui lavora, come il Parlamento, che subisce l’incantesimo del non fare.
Tutti sono al loro posto, immobili. C’è da domandarsi quale sarà lo choc che “farà ripartire l’Italia”, per usare un linguaggio vetero Pd. Certo non le mitiche “elezioni anticipate”.
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano 00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2 lettere@ilfattoquotidiano.it