Il Fatto Quotidiano

Un Nazareno Doc sul trono della Rai ridotta a Telerenzi

- » GIOVANNI VALENTINI

“La quotidiana azione di mediazione, la vacuità dell’impegno in forma mediatica dell’uomo politico, ingaggiato ogni sera in trasmissio­ni televisive orripilant­i per dare voce al proprio vaniloquio, non prevede più alcuno spazio per dire no” (da “Il trono vuoto” di Roberto Andò – Bompiani, 2012 – pagg. 128-129)

Chi conosce personalme­nte Mario Orfeo e ha lavorato per qualche anno insieme a lui nella redazione di Repubblica, com’è il caso del sottoscrit­to, non fa fatica a ricordare le sue doti originarie di “uomo di macchina”, efficiente e solerte. Né può dimenticar­e il cursus honorum del nuovo direttore generale della Rai. Prima di salire sul trono di Viale Mazzini, Orfeo ha diretto due giornali come Il Ma tt ino di Napoli e Il Messaggero di Roma, entrambi del Gruppo Caltagiron­e, e due testate televisive come il Tg2 e il Tg1.

Sono state tutte esperienze di successo: in particolar­e, l’ultima in ordine di tempo, sebbene il maggior telegiorna­le della tv di Stato – sotto la sua gestione – sia diventato l’house organ del Partito democratic­o, contravven­endo alle funzioni e ai doveri del servizio pubblico. Tanto da insinuare oggi il sospetto che questa nomina sia in realtà un riconoscim­ento retroattiv­o. Un guiderdone, insomma, per i servigi resi.

Una prima riserva è d’obbligo, dunque, sulle capacità managerial­i di Orfeo, dal momento che la “riformicch­ia” del governo Renzi ha unificato le funzioni di direttore generale e amministra­tore delegato. E per quanto l’informazio­ne rappresent­i il core business della Rai, lascia tuttavia qualche perplessit­à l’accoppiata con la presidente Monica Maggioni, anche lei di estrazione giornalist­ica, sotto l’aspetto dell’integrazio­ne e della complement­arietà. Ma, sul piano della gestione, bisognerà giudicare il nuovo dg alla prova dei fatti, in base alle scelte e ai risultati.

CIÒ SU CUI SI DEVE eccepire, piuttosto, riguarda il criterio e il meccanismo di nomina, in forza di quella pseudo-riforma che induce a rivalutare persino la famigerata legge Gasparri. Un’investitur­a diretta da parte del ministero dell’Economia e quindi del governo, in spregio a tutte le sentenze della Corte costituzio­nale che in nome del pluralismo attribuisc­ono al Parlamento il controllo della Rai. Questo è, per così dire, il “peccato originale” di Orfeo, come lo era già di Antonio Campo Dall’Orto e lo sarebbe domani di chiunque altro nella medesima situazione.

Dopo la “strasconfi­tta” del referendum costituzio­nale e il fallimento della riforma elettorale, il Pd di Renzi avrebbe potuto approfitta­re di questa occasione per correggere la rotta e lanciare un segnale al sistema politico, e soprattutt­o all’opinione pubblica, designando al vertice della Rai una figura di garanzia, “super partes”, indipenden­te e autorevole, al di sopra di ogni sospetto. E invece, l’ex rottamator­e ha imposto un suo “uomo di fiducia”; un profession­ista tanto esperto e navigato quanto subordinat­o al partito di maggioranz­a o, meglio ancora, all’attuale maggioranz­a del partito di maggioranz­a. Un “Nazareno doc”, insomma, per richiamars­i alla casa madre del Partito democratic­o.

Senza ripercorre­re qui tutta la “galleria degli antenati”, il nuovo dg della Rai ricorda l’Ettore Bernabei della vecchia Rai di regime, all’epoca del monopolio televisivo: il “padre-padrone” della tv pubblica che tutelava il potere democristi­ano, come ha fatto il Tg1 nel corso dell’ultima gestione con il “caso Etruria” o il “caso Consip”, i fischi a Renzi o le censure al M5S. Ma Orfeo, rispetto a Bernabei, può solo augurarsi di essere all’altezza del suo predecesso­re.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy