Condannati dal governo a sperare nella precarietà
I ricercatori sull’ambiente occupano la sede da 20 giorni: con la riforma della Pa credevano nell’assunzione, ma coi tagli del ministero rischiano di perdere anche il posto a termine
Se in generale il decreto Madia non è sufficiente, da solo, a garantire la stabilizzazione dei precari negli enti di ricerca italiani, nel caso dell'Ispra tale provvedimento non sta bastando nemmeno a evitare i licenziamenti. All'Istituto statale per la protezione ambientale, infatti, rischiano di andare a casa un centinaio di addetti con contratto a termine. Proprio quelli che, visto il recente intervento del governo, speravano nel tanto desiderato posto fisso. Niente da fare: ora si trovano addirittura costretti a lottare per riuscire a tenersi stretto almeno quello “flessibile”.
SI TRATTAsì di un paradosso, ma del tutto prevedibile in un centro che – come tutti gli altri – è vittima di tagli ai finanziamenti da parte dello Stato. Questi lavoratori, con il supporto dell'Unione sindacale di base (Usb), stanno occupando da venti giorni la sede in via Brancati a Roma. Un destino che si ripete, visto che nel 2010 è toccato salire sui tetti dello stesso ente per protestare contro la riduzione di fondi. Quest'ultima iniziativa serve a chiedere l'intervento del governo e si rivolge in particolare al ministro Gian Luca Galletti e a tutti i parlamentari che, almeno a parole, mostrano sensibilità al tema ambientale. Servono 13 milioni di euro, altrimenti in discussione non sarà solo la continuità occupazionale, ma anche il funzionamento stesso dell'istituto che, tra l'altro, svolge delicate mansioni.
Tanto per cambiare, tra i ricercatori interessati ci sono persone che sono in servizio, senza tutele, da ben 15 anni. La stessa Marianna Madia ha più volte parlato di un
“cattivo reclutamento” messo in atto negli anni passati all'interno della pubblica amministrazione, una pratica di reiterazione dei contratti a termine tale da formare un precariato definito storico. Per questo, il decreto che porta la sua firma ha creato un sistema che permette di stipulare un rapporto a tempo indeterminato con chi, entrato per concorso, abbia almeno tre anni di anzianità negli ultimi otto. Peccato però che per rendere stabili queste collaborazioni non basti una norma: servono fondi aggiuntivi al mondo - molto penalizzato - della ricerca pubblica.
L'Ispra è un chiaro esempio: c'è bisogno di nuove risorse non solo per dare prospettiva ai lavoratori precari, ma anche per far sopravvivere la struttura di tutti i 1.200 dipendenti. Per “merito” della spending review, il contributo statale è passato dai precedenti 93 milioni di euro agli attuali 81. Sommando tutte le altre entrate, si arriva a circa 120 milioni di disponibilità. Si tratta, per buona parte, di progetti sostenuti dalle pubbliche amministrazioni o dall'Unione europea; una boccata d'ossigeno che dà qualche prospettiva in più ai pre- cari. Quelli occupati sui singoli progetti autofinanziati, infatti, manterranno il posto almeno fino a quando non avranno terminato il lavoro. Questa voce di bilancio è però in calo. “L'eccessiva burocratizzazione – spiega la ricercatrice e delegata Usb Michela Mannozzi – ha ridotto del 40% la nostra capacità di ottenere risorse esterne”.
Il problema è che, pur nelle ristrettezze economiche, l'Ispra deve comunque svolgere un ruolo fondamentale, assieme alle agenzie regionali Arpa, nell'ambito del sistema nazionale a rete per la protezione ambientale, creato da una legge del 2016. L'ambizione di questo intervento è garantire i cosiddetti Lepta, che vorrebbero essere l'equivalente dei livelli essenziali di assistenza sanitaria declinati al settore dell'ecologia. Le prestazioni tecniche di monitoraggio e controllo ambientale, insomma, devono essere omogenee in tutti i territori del Paese. Un compito, che si somma a quelli tradizionali, per il quale l'Ispra deve “adeguare la propria struttura organizzativa e tecnica – dice il testo – senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. “Di fronte a questi nuovi obblighi e a queste nuove sfide – avverte Mannozzi – siamo sull'orlo del baratro”.
Con la scure I fondi statali ridotti e troppa burocrazia stanno mettendo in ginocchio l’agenzia