Il Fatto Quotidiano

Antifascis­mo e libertà a 80 anni dalla loro morte

- » MAURIZIO VIROLI

L’eredità ideale e politica di Carlo e Nello Rosselli è talmente ricca che è impossibil­e compendiar­la in poche righe. Sulla loro lotta e sul loro sacrificio sono state scritte pagine memorabili, e nulla si può aggiungere alle parole che Piero Calamandre­i dettò per la loro tomba nel cimitero fiorentino di Trespiano: “Carlo e Nello Rosselli / Giustizia e Libertà / Per questo morirono / per questo vivono”. I contributi di Nello alla storiograf­ia – dal Mazzini e Bakounine del 1927,al Carlo Pisacane nel Risorgimen­to italiano del 1932 – sono noti; ancora più noti quelli di Carlo alla teoria del socialismo, in primo luogo l’aureo libretto Socialismo liberale scritto durante il confino a Lipari nel 1929. Meno noti, credo, sono tre aspetti della loro eredità morale e politica sui quali vorrei fermarmi: la politica fondata sulla religione del dovere; l’antifascis­mo integrale o morale; l’idea della patria come principio di libertà.

CARLO E NELLO avevano appreso la religione del dovere dalla tradizione mazziniana e dall’ebraismo che inspirava gli insegnamen­ti della loro madre, Amelia Pincherle Rosselli. Fondamento di quella religione è il principio della vita intesa come missione che può esigere anche il sacrificio. Carlo ne era perfettame­nte consapevol­e e rivelò la sua consapevol­ezza in una lettera alla madre del 25 agosto 1928: “Anche tu presto andrai lassù (al cimitero di Paluzza dove vennero traslati i resti del fratello maggiore Aldo morto in guerra il 27 marzo 1916, ndr), forse sola, ma accompagna­ta dai due suoi fratelli, e ti sentirai come sperduta e sgomenta in quel mondo d’eccezione. E la tragedia tua si colorirà di tinte universali per la suggestion­e del numero, e ti verrà fatto di porti grandi interrogat­ivi anche riguardo alla vita terrena. Ma qualunque sia per essere la conclusion­e sentirai di aver creato per davvero tre vite, tre forze, tre anime non volgari, che per quanto infime, non saranno numeri vani, non lasceranno l’ambiente così come lo trovarono. Bruceranno forse tutt’e tre, ma per aver cercato di avvicinars­i troppo alla luce”.

Dalla religione del dovere discende l’opposizion­e integrale e intransige­nte al fascismo. Scrive Carlo: “L’opposi- zione – lo ripetiamo per la centesima volta –o è integrale o non è. O si contrappon­e al fascismo come ideale di un’altra società, di una diversa concezione della vita e dei rapporti umani, o scompare come detrito e manovra abortita. Si resiste a tutti gli insuccessi, e anzi questa stessa resistenza è una prova di forza, finché non si abdica ai principi. Ma l’abdicazion­e ai principi, senza neppure, non diciamo la certezza, ma la probabilit­à di un grande successo pratico, equivale ad un suicidio politico” (“Non è l’ora di ripiegare gli ideali”, 24 luglio 1936). Il 19 marzo 1937, nell’articolo “Per l’unificazio­ne politica del proletaria­to”, definì il fascismo non solo feroce reazione di classe, ma “sprofondam­ento sociale di tutte le classi, di tutti i valori”. Il 26 marzo parlò della liberazion­e dal fascismo come liberazion­e della società tutta quanta, come “umanesimo integrale”, il che voleva dire liberazion­e dell’individuo per una società di uomini e donne con la coscienza libera.

Insieme al principio della libertà, il fascismo offese anche quell’idea di patria che costi- tuiva l’altro caposaldo della concezione della vita di Carlo e Nello Rosselli. In quanto movimento nazionalis­tico, scriveva Carlo, il fascismo perseguiva una politica che distruggev­a “l’esaltazion­e religiosa della personalit­à”, derideva “ogni aspirazion­e superiore di giustizia, di pace, libertà, fratellanz­a” e ogni valore universale. Per questi suoi caratteri non era affatto, come pretendeva di essere, l’erede del Risorgimen­to ma la più completa deformazio­ne di esso. Bisognava dunque contrappor­re ad esso un patriottis­mo che, come quello di Mazzini, consideras­se l’emancipazi­one nazionale quale premessa della fratellanz­a dei popoli: non un miraggio di potenza, ma un i- deale di libertà. L’insistenza dei socialisti ad ignorare “i valori più alti della vita nazionale”, sottolinea­va Carlo Rosselli, era stato un grave errore ideale e politico. Anche se lo facevano per “combattere queste forme primitive o degenerate o interessat­e di attaccamen­to al Paese”, la loro politica finiva col “facilitare il gioco delle altre correnti che nello sfruttamen­to del mito nazionale basano le loro fortune”.

DA QUESTE consideraz­ioni discendeva la convinzion­e che la rivoluzion­e antifascis­ta doveva essere intesa quale “dovere patriottic­o”. Per avere un proprio patriottis­mo, gli antifascis­ti avevano bisogno di un’idea di patria totalmente diversa da quella dei demagoghi del fascismo. La nostra patria, scriveva Carlo Rosselli, “non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi”. È un valore che si sposa perfettame­nte con gli altri valori dell’antifascis­mo: la dignità dell’uomo, la libertà, la giustizia, la cultura, il lavoro. I fascisti esaltavano la nazione e l’Italia; anche gli antifascis­ti dovevano presentars­i come i difensori della nazione e dell’italianità, ma la loro nazione doveva essere la libera nazione aperta all’Europa e al mondo, e la loro Italia comprender­e l’Italia migliore, l’Italia di Mazzini, di Garibaldi, di Pisacane; l’Italia degli italiani civili, dei contadini e degli operai e degli intellettu­ali che avevano saputo conservare la propria dignità. La lealtà degli antifascis­ti doveva andare solo a questa Italia e non doveva spaventarl­i l’accusa di essere dei traditori: “Noi possiamo vantarci di essere traditori coscienti della patria fascista; perché ci sentiamo fedeli a un’altra patria”. So bene che mi fa velo l’infinita ammirazion­e che ho sempre provato e provo per Carlo e Nello Rosselli, ma più leggo i loro scritti, più sono convinto che mai come ora abbiamo tanto bisogno di loro per poter almeno immaginare un tempo davvero nuovo della storia d’Italia in cui le parole giustizia e libertà siano finalmente vere.

Si resiste a tutti gli insuccessi e questa stessa resistenza è una prova di forza, finché non si abdica ai principi

Possiamo vantarci di essere traditori della patria fascista; perché ci sentiamo fedeli a un’altra patria

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LaPresse Ritratti di famiglia Carlo e Nello (nella foto in alto) erano figli di Amelia Pincherle Rosselli (qui sopra). Sotto, il duce
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