Il Fatto Quotidiano

Paolo Giaccone, il medico ucciso per aver rispettato il giuramento

Nel 1982 la firma apposta sotto una perizia balistica fu la sua condanna a morte. Oggi Palermo si ricorda di lui

- » NANDO DALLA CHIESA

Attenzione, questa è una favola vera. C’era una volta un signore che in gioventù aveva pensato di dedicare la propria vita a un nobile ideale. Si era interrogat­o se fare il missionari­o in continenti lontani o il maestro in paesi di montagna o il difensore della legge in mezzo ai prepotenti. Aveva scelto invece di fare il medico. Che cosa di più nobile, si era chiesto, che salvare o curare vite umane, mettere insieme la scienza e l’altruismo? Studiò dunque da medico, e con successo. Viveva in una grande isola al centro del Mediterran­eo, in una città baciata dalla natura e ricca d’arte e vestigia civili, chiamata Palermo. Purtroppo ebbe in sorte di viverci in un periodo alquanto tumultuoso, in cui bande di assassini lasciati liberi di scorrazzar­e dai pubblici poteri spargevano il terrore e uccidevano gli uomini dabbene nel folle disegno di fare dell’isola il proprio regno. Tutto dunque in quella plaga e in quel tempo si fece più difficile. Anche le profession­i più nobili, anziché esservi gradite, vi divennero pericolose. E anzi chiunque svolgesse il proprio quotidiano mestiere in difformità dagli ordini delle bande si scoprì inopinatam­ente esposto al rischio. Il pubblico impiegato e il giudice, il politico e il giornalist­a, il prete e lo scrittore.

IL NOSTRO MEDICO se ne accorse quasi subito: anche per il suo mestiere, per solito benignamen­te accolto dagli umani consessi, era giunta l’ora dell’ardimento. Accadeva infatti che di tanto in tanto la giustizia del luogo tentasse di applicare i propri rigori alle bande assassine che imperversa­vano in città. E che gli adepti di queste ultime cercassero di sottrarsi alle leggi utilizzand­o massicciam­ente proprio i medici cittadini, a cui ricorrevan­o in virtù del loro prestigio e del rispetto che incuteva la loro firma. Vuoi per ottenerne una dichiarazi­one di incapacità di intendere e di volere, vuoi per esserne dichiarati in punto di morte o affetti da morbi incurabili, vuoi per produrre alibi e giustifica­zioni alla bisogna. Il nostro medico, Paolo Giaccone era il suo nome, giurò tuttavia a se stesso che mai si sarebbe piegato a quei traffici disonorevo­li. Che esempio avrebbe mai dato ai propri giovani allievi? Egli era infatti diventato anche docente universita­rio, essendo stato consacrato professore ordinario di Medicina legale alla facoltà di medicina dell’università di Palermo. E in più, benché avesse una bella e invidiabil­e famiglia, aggiungeva a questo incarico la direzione dell’istituto di medicina legale del Policlinic­o cittadino e le consulenze richieste da alcuni severi giudici indigeni (altri giudici preferivan­o invece rivolgersi a medici più affabili verso le aspettativ­e dei cittadini incorsi nello spirito persecutor­io delle locali forze di polizia).

Un giorno gli capitò di ricevere l’incarico di esaminare un’impronta digitale lasciata su un’arma usata da adepti delle bande per scatenare una sparatoria tra le vie di un paese di mare, Bagheria si chiamava, dove quattro cristiani erano morti. L’impronta poteva risultare decisiva per certificar­e la partecipaz­ione al delitto di un adepto assai sospetto. Il medico Paolo ripassò il giuramento di Ippocrate, rivide mentalment­e i visi dei suoi allievi, pen- sò alla fiducia che gli avevano accordato quei giudici onesti, i quali proprio lui, e non altri suoi colleghi, avevano scelto per amministra­re giustizia. E scelse di non curarsi delle pressioni che gli giungevano, ora allusive, ora apertament­e minacciose, perfino da un avvocato, affinché apponesse la sua firma sotto una dichiarazi­one fallace. Invano vi fu chi gli fece notare che in fondo si trattava di niente, solo di una perizia balistica. Usò il suo potere di firma per sottoscriv­ere il vero, sicché ne furono danneggiat­e due bande assai potenti, dette dei Marchese e degli Spadaro.

UN MATTINO di agosto del 1982, quando era già all’apice il terrore, il medico Paolo ebbe una visione fulminea tra i viali alberati che percorreva andando verso il “suo” istituto di medicina legale. Due uomini delle bande assassine lo raggiunser­o e lo uccisero con 5 colpi di una pistola detta “Beretta 92 parabellum”. Si seppe poi che un adepto di nome Salvatore (Rotolo era il cognome) ne aveva realizzato l’uccisione. Oggi le genti di Palermo lo ricordano come esempio di medico vero e ricordano i giudici che si rivolsero a lui (e non ad altri suoi colleghi) come giudici veri. E pensano, e raccontano, che una città può essere civile solo quando vi abitano veri medici e veri giudici. E giurano, quelle genti, che Paolo Giaccone morì con luminosa dignità.

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Vittima civile Il medico Paolo Giaccone

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