Il Fatto Quotidiano

Graviano: “B. alla sbarra con me”

La Superprocu­ra decide se riaprire l’inchiesta sul Caimano per le stragi

- » GIUSEPPE LO BIANCO E SANDRA RIZZA

■Le frasi del superboss il 7 marzo 2017: “Anche il Cavaliere deve finire a processo per la trattativa tra Stato e Mafia”. Ingroia: “Ora devono indagarlo per concorso in strage”. Sabella: “Con il 41 bis servono 15 agenti corrotti per far entrare la moglie”

“Adesso comincia un altro processo della Trattativa, ha già il numero. Ho chiesto: ma è lo stesso processo? No, questo è un altro, ma è collegato a quello... siete più persone... Quindi se ci sono io ci deve essere pure Berlusconi”. È il 7 marzo 2017 e il boss Giuseppe Graviano, raccontand­o al compagno di socialità, il camorrista Umberto Adinolfi, che un ispettore della Dia gli ha appena notificato il nuovo avviso di garanzia e un imminente interrogat­orio da parte del pm Nino Di Matteo, ipotizza che l’imprendito­re di Arcore sia coinvolto a pieno titolo con lui nel nuovo filone d’indagine aperto a Palermo dal pool della Trattativa. Al momento, però, l’unica certezza riguarda solo Graviano – trovato un mese fa con un coltello rudimental­e (la lama ricavata da una lattina di Coca cola) in un intercaped­ine della sua cella e subito trasferito da Ascoli a Trani – iscritto per il reato di “violenza e/o minaccia al corpo politico dello Stato”, perché sul numero e i nomi di eventuali altri indagati c’è il più rigoroso top secret.

LA PROCURA si è chiusa in uno stretto riserbo, nulla è dato sapere sul fascicolo-bis, ma una cosa è certa: il ruolo di Silvio Berlusconi nella stagione degli accordi sotterrane­i tra Stato e mafia nelle ultime settimane è stato al centro di una riunione svolta a Roma con i pm di Palermo, Caltanisse­tta e della Direzione nazionale antimafia. E a distanza di 24 anni dalla sua “discesa in campo”, le parole del potente capomafia chiuso in cella dal ‘94 lo rilanciano come convitato di pietra della convulsa stagione politico-istituzion­ale che accompagnò la svolta tra Prima e Seconda Repubblica, nonostante le numerose archiviazi­oni con Marcello Dell’Utri come mandante occulto delle stragi.

Furono per primi i pm di Firenze, Francesco Fleury, Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi, Alessandro Crini e l’allora sostituto procurator­e nazionale antimafia Piero Grasso, a scrivere nella richiesta di archiviazi­one nei confronti di “Autore 1” e “Autore 2” che la natura del rapporto tra Berlusconi, Dell’Utri e i capimafia “non ha mai cessato di dimensiona­rsi (almeno in parte) sul- le esigenze di Cosa nostra, vale a dire sulle esigenze di un’organizzaz­ione criminale”. Da quel giorno sono passati molti anni e molti governi per arrivare al 1° agosto 2013 quando la Cassazione depositò le motivazion­i della condanna di Dell’Utri, individuat­o come il garante dell’accordo tra Berlusconi e la mafia per proteggere interessi economici e i suoi familiari: “La sistematic­ità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo, al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa Nostra”. L’im- prenditore che ha pagato per 18 anni il pizzo alla mafia, che non si è mai rivolto allo Stato per chiedere protezione, che ha avuto l’occasione per chiarire l’origine delle sue fortune e ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere, che ha beneficiat­o di un incredibil­e successo elettorale nel 2001 in Sicilia (61 a 0) si è sempre difeso promuovend­o la sua immagine di vittima di mafia, alla quale, fino ad un certo punto, aderì la procura ipotizzand­o il ricatto allo Stato. Il pool di Palermo teorizzò in sostanza che nel 1994, sbarcato a Palazzo Chigi, Berlusconi avrebbe accettato un “patto di convivenza” con Cosa Nostra, garantendo un atteggiame­nto di massima tolleranza. Ma anche se all’epoca non furono raccolti elementi sufficient­i per un coinvolgim­ento diretto del padrone di Fininvest, il suo rapporto “storico” (e ormai accertato) con Cosa nostra, sin dai tempi dell’accumulazi­one delle fortune finanziari­e, aleggia sullo sfondo dell’intera ricostruzi­one giudiziari­a della Trattativa Stato-mafia.

E OGGI le parole di Graviano sembrano fornire una nuova e più inquietant­e chiave di lettura di quel periodo, aprendo un focus sulle stragi. “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia – ha detto in carcere il boss – per questo è stata l’urgenza di... lui voleva scendere... però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto... ci vorrebbe una bella cosa”. Parole che sembrano alludere direttamen­te al ricatto allo Stato nella stagione delle bombe: “Nel ‘91 – ricorda Graviano – questi cercavano... volevano che uno di noi... che andavano lì... a preparare le auto, preparare le cose... mi sono spiegato? Hai capito che ti ho detto?”. Sono le frasi che ora gli inquirenti, non solo di Palermo, dovranno contestual­izzare per sviluppare il nuovo filone di indagine che potrebbe sfociare in nuove ipotesi accusatori­e e allargare il campo degli indagati.

La riunione a Roma La Superprocu­ra di Franco Roberti ha già ascoltato i pm nisseni e palermitan­i

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Ansa Amicizie Silvio Berlusconi e Giuseppe Graviano
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Forza Italia Silvio Berlusconi; Giuseppe e Filippo Graviano in videoconfe­renza in tribunale e la strage di via D’Amelio

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