Chi l’ha detto che un donna senza figli con un cane è di certo infelice?
“Che tristezza quelli che invece di fare figli si fanno un cane”. È un grande classico questa frase, ripetuta da puntute e anziane signore – ma anche giovani e fiere madri di prole – quando incontrano una donna in età fertile, magari sola, senza alcun passeggino ma con cagnolino a seguito. Chi la pronuncia, però, fa bingo: mai infatti tanti luoghi comuni sono racchiusi in un battuta così tanto diffusa: che il desiderio di fare un figlio sia qualcosa di naturale per tutte; che questo desiderio venga sostituito dal cane, quando probabilmente chi vuole un animale domestico ha banalmente voglia di un animale domestico, appunto; che la cura di un bambino sia più alta e nobile della cura di un animale, mentre è semplicemente diversa, così come è diversa – ma serve egualmente – la cura della casa, delle piante, ma anche del nonno malato o del nipote neet.
INVECE lo stereotipo immagina per queste donne (mai uomini) che vivono con cani e gatti una vita, chissà perché, fatta di immensa solitudine, ma anche di malattia mentale per il fatto che parlerebbero ai loro animali come se fossero uomini. Signore che presto, finiranno a fare le gattare, epiteto colmo di disprezzo e pena verso donne che si limitano a dare da mangiare ai gatti abbandonati, un’azione sinceramente più etica del gioire narcisisticamente del proprio pargolo che sul palco fa l’ennesimo saggio di flauto o teatro. Insomma lo stigma è sempre lo stesso: una donna senza figli è disturbata e finirà infelice.
Se poi ha un gatto e un cane è ancora peggio, la si immagina nel suo appartamento retrocedere allo stato animalesco, dormire coi suoi cani, apparecchiare per il gatto. Nulla che corrisponda alla realtà, eppure il peggiore antropocentrismo è ancora tra noi, nonostante le donne abbiano smesso di fare bambini e gli italiani che si prendono cura di animali siano svariati milioni.