Il Fatto Quotidiano

Rifiuti e raccolta differenzi­ata: il mistero del “dove lo butto?”

Ci impegniamo tanto per separare i materiali, aiutare l’ambiente e diminuire il peso dei sacchetti che finisce in discarica. Ma sono ancora tanti gli errori che si commettono

- » PATRIZIA DE RUBERTIS

Una volta si diceva che l’erba del vicino era sempre più verde. Oggi, condiziona­ti dal sempre attuale mito apotropaic­o delle misure, al nostro dirimpetta­io di pianerotto­lo o al conoscente che vive nella villetta accanto invidiamo le dimensioni delle suoi sacchetti dell’immondizia. Piccoli, smilzi e perfettame­nte divisi tra umido, carta, vetro e indifferen­ziata. I più fissati arrivano perfino a utilizzare buste di diverso colore. Ma guai a fargli notare che sono dei fissati. È piuttosto un modus vivendi di chi, più lungimiran­te degli altri, ha capito che a 20 anni dal decreto Ronchi, che ha ribaltato la cultura della gestione dei rifiuti – non più scarti ma risorse con la creazione di nuove competenze e opportunit­à occupazion­ali; non più discariche ma infrastrut­ture diffuse e imprese innovative – dovrebbe essere chiaro che bacchette magiche in grado di produrre un’economia a rifiuti zero non ne esistono.

COSÌ L’ITALIA si è stranament­e (eh!) spaccata in due: da una parte ci sono un po’ più di 1.500 Comuni “ricicloni” dove vivono 10 milioni di abitanti in cui la raccolta differenzi­ata supera il 65% del totale (quasi il doppio rispetto a 10 anni fa) – al primo posto svetta Tortorella, un piccolo paese in provincia di Salerno, dove i 584 abitanti producono lo 0,4 Kg per abitante di rifiuto indifferen­ziato – e che hanno permesso passi avanti soprattutt­o nel riciclo e nel riutilizzo di carta, plastica, umido vetro e ferro; dall’altro lato, tristement­e, primeggian­o i cosid- detti Comuni “r os ic on i” (l’85%), dove non si riesce né a rispettare l’obiettivo di legge sulla raccolta differenzi­ata né a puntare sulla qualità e sulle politiche di prevenzion­e. E proprio in questi paesi e città, gli abitanti continuano a interrogar­si quotidiana­mente davanti ai cassonetti della raccolta per capire dove vanno gli oggetti da buttare, anche perché – qui nessuno mette in discussion­e che il buon cittadino non voglia appositame­nte differenzi­are i rifiuti – questo enorme impegno per separare i materiali, aiutare l’ambiente e diminuire le montagne di mun nezza nelle discariche non porta ovunque i risultati sperati. Perché, diciamolo, la raccolta differenzi­ata non è facile e anche i più attenti rischiano di commettere errori. Quali? Secondo l’Adoc sono 5: gli scontrini (non sono carta, ma un rifiuto indifferen­ziato); l’olio da cucina che non va get- tato nel water ma portato nei centri di raccolta, dove devono finire anche le lampadine, a eccezione di quelle a incandesce­nza che si gettano nell’indifferen­ziato; i cartoni della pizza che, solo se puliti, finiscono tra carta e cartone; infine i piccoli elettrodom­estici (quelli inferiori a 25 centimetri) che la maggior parte degli italiani non sanno che possono essere lasciati gratis nei negozi specializz­ato senza bisogno di comprare nulla.

E se proprio si è indecisi sul cassonetto giusto dove buttare i rifiuti, può tornare utile una recente pubblicità del CoReVe (il Consorzio del vetro) dove Licia Colò ripete la filastrocc­a: “Mischiare vetro e cristallo non è mai un’id ea brillante. La ceramica è indigesta al riciclo. Solo bottiglie e vasetto per un riciclo perfetto; e toglili sempre dal sacchetto”.

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