Renzi gode dei flop altrui ma ha paura dei ballottaggi
Il segretario va ad Amatrice, toni bassi al Nazareno: “Abbiamo tenuto” (non vinto)
Perdere l’80% dei Comuni – e prima di tutto Genova – nei ballottaggi: è questa la paura che domina al Nazareno, il giorno dopo le Amministrative. Insieme a un’altra, più sottile: che sia finito il tempo dei partiti, che il “Macron italiano” lo “crei” Berlusconi nel centrodestra. Dunque, l’atmosfera nel Pd è guardinga. E se nella notte il dato che i vertici del Nazareno evidenziano con esultanza è l’esclusione dei Cinque Stelle dai ballottaggi, via via che la giornata di ieri avanza, il risultato reale del Pd prende forma. Con le sue ombre e le sue incognite. In voti assoluti nei 25 capoluoghi di provincia, il Pd prende 197.432 (compreso Palermo), il 26% in meno rispetto ai 267.186 del 2012 (crolli importanti, Genova, Padova, Palermo). E poi c’è la scelta a favore delle civiche: chi ha votato i candidati di centrosinistra, ha preferito non votare il simbolo Pd. Tipico delle elezioni locali, ma il poco appeal dei Dem è evidente.
“IL PD HA tenuto”, dice il capogruppo alla Camera, Ettore Rosato. Che è una constatazione, ma anche l’ammissione di un risultato magro. Astensionismo alto, voti mancati nelle regioni rosse. Solo due città vinte, Cuneo e Palermo. Con Leoluca Orlando – eletto con i voti Dem – che si offende quando nella diretta la notte del voto viene definito da Enrico Mentana “del Pd”. E ancora: nessuno dei candidati delle principali città era propriamente renziano: nè Crivello, a Genova, espressione di D’Alema e Bersani, né Salvemini a Lecce, per esempio. E a Verona, la candidata uscita dalle primarie, Orietta Salemi al ballottaggio neanche ci va. Il vicesegretario Maurizio Martina commenta: “Non dobbia- mo leggere i dati delle amministrative con chiavi di lettura general-generiche nazionali, ma capire i contesti locali”. Un programma. Le parole d’ordine che vengono ripetute nel corso della giornata sono “allargamento” del Pd, “centrosinistra”. Il responsabile Enti locali, Matteo Ricci: “Si riparte da chi ha votato Sì al referendum”. Un richiamo a Giuliano Pisapia. Ma la coalizione con l’ex sindaco di Milano resta un’ipotesi. Il mondo a cui guarda - di cui fanno parte Bersani e D’Alema - è incompatibile con Renzi.
E DUNQUE la sala grande del Nazareno al terzo piano resta vuota per la conferenza stampa sul risultato. In una stanzetta al piano terra, con un’unica porta finestra, parlano con i giornalisti Martina, Ricci e Andrea Rossi, responsabile organizzazione. Renzi va sui luoghi simbolo del ter- remoto, Accumoli e Amatrice, con Nicola Zingaretti, e si limita a fare un post Facebook. Lo stesso metodo seguito nel 2015, quando – dopo aver perso la Liguria – si mise la mimetica e volò in Afghanistan: “Il giorno dopo le elezioni, solitamente, si fanno tante analisi, chiacchiere e discussioni. Noi abbiamo fatto una scelta diversa”. In serata, se la vende così: “Il Pd ha eletto più sindaci al primo turno ed è il partito che manda più candidati al ballottaggio”.Non è ancora chiaro se farà campagna elettorale per i ballottaggi. Forse iniziative non tradizionali.
NON CI sono i margini per provare a forzare per il voto anticipato, anche se la tentazione di approfittare del momento di difficoltà dei Cinque Stelle Renzi ce l’ha. I suoi enunciano i potenziali incidenti. Oggi alla Camera arriva il ddl penale: dovrebbe passare con la fiducia. Sembrava im-
Ostacoli
Nessuna nuova forzatura sul voto anticipato, salvo incidenti. E sulle alleanze, tutto da fare
pensabile, per le resistenze dei centristi, ma la volontà del Parlamento di non sciogliersi porterà anche a questo. Domani il Senato vota la manovrina con fiducia. Mdp non parteciperà al voto, per non far cadere Gentiloni. Martedì prossimo, in Senato, va in votazione la mozione di sfiducia al governo di Quagliariello su Consip. Poi, forse, ci sarà la fiducia sullo ius soli. Materia delicata. La legge elettorale a Montecitorio non è neanche calendarizzata a giugno.