Il Fatto Quotidiano

NE UCCIDE PIÙ LA SOLITUDINE DEL CALDO

- » MASSIMO FINI

Per i vecchi l’estate cambia completame­nte di segno. Le passioni d’amore, con i loro struggimen­ti, sono ormai alle spalle o se qualche traccia ne rimane è talmente affievolit­a da non avere più nulla a che vedere con l’età in cui le slacciavam­o, con dita tremanti, i bottoni della camicetta. Ma la questione non è questa. Sta nel fatto che l’estate acuisce tutti i problemi, drammatici, anche se occultati da una Scienza e da una pubblicist­ica ingannevol­i e non innocenti, della tetra vecchiaia e al cui centro, almeno in Occidente, sta la solitudine.

IN EUROPA solo il 3,5% dei vecchi vive con i propri figli e i nipoti. Però d’inverno, e nelle stagioni contigue, i figli rimangono in città, ti restano in qualche modo vicini, qualche volta ti permettono di portare i nipotini ai giardini e di non stare perennemen­te a guardare, come un babbeo, con le mani incrociate dietro la schiena, i ‘lavori in corso’. Ma d’estate i figli e i nipoti se la filano in vacanza. Anche i vicini se ne vanno. E la tua casa piomba in un silenzio tombale. Rotto solo dalle sirene delle autoambula­nze che si fanno più acute perché anche la città, con meno macchine, è più silenziosa. E i vecchi rabbrividi­scono. Perché, per un singolare paradosso, non sentono il caldo, si disidratan­o e a ogni suono di sirena pensano: la prossima volta potrebbe toccare a me. Ma il killer più pericoloso resta la solitudine. Secondo una recente ricerca la solitudine uccide più di 15 sigarette al giorno. Non si tratta naturalmen­te della solitudine per scelta che è quella che puoi fare da giovane, traendone anzi un sottile piacere anche perché sai che puoi interrompe­rla in ogni momento. Ma la solitudine dei vecchi non è una scelta, è una condizione sociale. Ed ecco che allora bisogna darsi da fare, trovare qualcuno, uno qualsiasi, con cui passare e “a mmazzare il tempo” essendo consapevol­i che è il Tempo che sta ammazzando noi e che stiamo spendendo malamente gli ultimi spiccioli che ci restano. Terribile, veramente terribile, è la con- dizione del vecchio nella società moderna. Un tempo viveva in una famiglia allargata, circondato dall’affetto dei numerosi figli e degli ancora più numerosi nipoti, delle zie rimaste nubili che non mancavano mai e accudito dalle donne di casa per il tempo, fortunatam­ente breve (la medicina tecnologic­a non si era ancora inventata l’accaniment­o terapeutic­o) in cui non era più in grado di badare a se stesso. Nella società contadina, a prevalente tradizione orale, il vecchio era il detentore del sapere, rimaneva fino all’ultimo il capo della famiglia, conservava un ruolo e la sua vita un senso. Nella società agricola il vecchio è il saggio, in quella industrial­e e ancor più in quella digitale è un relitto.

E IL SUO AVVILIMENT­Oè aggravato da quell’istituto crudele che solo la razionalit­à moderna poteva creare, la pensione (“E adesso vai a curare le gardenie, povero, vecchio e inutile stronzo”). Perso da un giorno all’altro il ruolo sociale, per quanto modesto, che aveva avuto nella vita non gli resta che attendere la morte e sollevare così la società da un peso divenuto intollerab­ile. L’estate provvederà a un salutare sfoltiment­o dei ranghi.

POVERI VECCHI

I figli vanno in vacanza, le città si svuotano e gli anziani ascoltano le sirene pensando: il prossimo sono io

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