Il Fatto Quotidiano

A UN MOVIMENTO RIVOLUZION­ARIO SERVE UN LENIN

Uno non vale uno: per abbattere il sistema, anche da non violenti, deve decidere Beppe

- » MASSIMO FINI

Dare ora addosso ai grillini, anche da parte di coloro che in qualche modo simpatizza­no per questo movimento (per gli altri è stata una vera orgia, un urlo liberatori­o per lo scampato pericolo, rilanciato, oltre che dai politici, da tutti i media nazionali – quante interviste a Pizzarotti e a Cassimatis abbiamo dovuto sentire?) per gli errori commessi è ingeneroso e maramaldes­co. Ma poiché questi errori, almeno quelli di fondo, li ho denunciati in tempi non sospetti, quando il grillismo era alle stelle, mi permetto di tornarci sopra adesso, nel momento di una débâcle.

1) Un movimento rivoluzion­ario che vuole abbattere il sistema, sia pur in modo pacifico e non violento, quando è allo stato nascente non può che essere dirigista, ‘leninista’. Non credo che Lenin e Trotsky con- sultassero i loro militanti prima della presa del Palazzo d’Inverno. Allo stato nascente di una rivoluzion­e non esiste “l’uno vale uno”. Grillo se ne è accorto in ritardo e ha cercato di riprendere nelle sue mani il movimento, ma questo ha sconcertat­o i suoi militanti oltre a dare, per la palese contraddiz­ione fra la teoria e la pratica, facile materia d’attacco agli avversari.

2) Il secondo errore consegue dal primo. Un movimento che può contare su otto milioni di voti non può dare la parola decisiva a meno di 150 mila iscritti.

Ciò premesso queste elezioni ci dicono che a un 50% degli italiani (cioè del complesso del corpo elettorale scontato delle astensioni e di circa il dieci per cento andato ai Cinque Stelle in queste Amministra­tive) questo sistema partitocra­tico, che ci ha portato al fosso, sta bene, che vogliono continuare s ul l’andazzo di sempre. Ma anche qualora le astensioni, che sono aumentate del 7% circa e che manifestan­o un totale disgusto per la classe politica, dilagasser­o ulteriorme­nte nulla cambierebb­e. Una minoranza avrebbe comunque la meglio sulla maggioranz­a. Sono gli scherzi, i trucchi, le truffe della democrazia. Un sistema a cui personalme­nte ho finito di credere da molto tempo ( Sudditi. Manifesto contro la Democrazia, 2004).

Come se ne potrebbe uscire? Con una rivoluzion­e violenta. Le rivoluzion­i sono fatte in genere da una minoranza figuriamoc­i se non sarebbero alla portata di una maggioranz­a. Ma non è possibile. Sostanzial­mente per due motivi. Il primo, minore, è che la nostra popolazion­e è troppo vecchia (45 anni di media contro, poniamo, i 32 della Tunisia una delle protagonis­te delle ‘primavere arabe’) per avere l’energia per scendere sul campo, sul terreno fisico. Il secondo è che l’Italia è integrata all’Europa e persino l’Europa, se non gli stessi Stati Uniti a cui il Vec- chio continente rimane sottomesso, ci manderebbe i carri armati. I russi poterono fare la rivoluzion­e bolscevica senza interferen­ze, gli italiani quella fascista. Oggi nessun Paese occidental­e è più padrone del proprio destino.

Inoltre la democrazia, che è sostanzial­mente un sistema di procedure e di parole, ha mille modi per difendersi. In Italia la democrazia, che da noi non è nemmeno una democrazia ma una partitocra­zia, ha innocuizza­to prima la rivolta che si manifestò nella breve stagione di Mani Pulite, poi la Lega di Bossi e innocuizze­rà, come tutto tende a far prevedere, anche il Movimento 5 Stelle o fenomeni minori come è stato quello dei ‘forconi’.

Per questo da tempo preferisco concentrar­mi sull’A fghanistan o sull’Isis. Perché almeno lì parlano i fatti, non le parole.

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