Delrio vuole lasciare il segno, inchioda 25 dirigenti alla poltrona
Da due anni il ministro Graziano Delrio rinvia la pulizia profonda del palazzone romano dove ha sede il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture.
Di fronte a Porta Pia la breccia più recente rimane quella aperta dai soldati piemontesi il 20 settembre 1870. E negli uffici del ministero regnano ancora incontrastati gli stessi uomini, gli eredi della stagione di Ercole Incalza, autentico dominusdel dicastero per un quindicennio che ha attraversato governi di destra e sinistra e una serie di ministri: Pietro Lunardi, Altero Matte ol i, Corrado Passera, Maurizio Lupi. Unica parentesi il biennio di Antonio Di Pietro (2006-2008), con Incalza fuori del ministero ma intatti i grumi di potere rappresentati da centinaia di dirigenti e funzionari di fatto ingestibili e incontrollati.
A POCHI MESIdalla fine del governo Gentiloni, Delrio vara finalmente la perestroika di cui va parlando da due anni, cioè dal giorno in cui mise piede al ministero per prendere il posto di Lupi, dimissionario a causa del Rolex regalato a suo figlio dal re delle direzioni lavori Stefano Perotti, a sua volta arrestato pochi giorni prima insieme a Incalza. Vengono messe in palio 24 delle 29 direzioni generali, rette da una casta di dirigenti “di prima fascia”, blindati da un contratto che li rende intoccabili e quindi più longevi, in termini di potere, di qualsiasi ministro.
Delrio – catapultato a Porta Pia da Matteo Renzi per volontà del “Giglio magico” al culmine di una convivenza sempre più complicata a Palazzo Chigi – non è mai stato un uomo di polso. Questa operazione può essere un’irripetibile occasione di rinnovamento ma anche l’ennesima restaurazione. Le caselle riassegnate ai soliti noti risulteranno blindate per tre anni, cioè per buona parte della prossima legislatura, chiunque vinca le elezioni. Delrio sconta la debolezza e gli errori del governo renziano. Ha aspettato due anni l’arrivo di un decreto attuativo della legge Madia che gli avrebbe consentito di ingaggiare i dirigenti anche dagli altri dicasteri. Ma la Consulta ha bocciato la riforma della Pubblica amministrazione. Persi due anni ad assecondare Renzi sul ponte di Messina e sul Tav, Delrio vorrebbe iniziare a governare adesso. Un po’ è tardi e un po’ sarà per i posteri. Ma ha deciso di lasciare un segno del suo passaggio Porta a Pia.
La modalità scelta per rivoluzionare il ministero è singolare. Ha chiesto al direttore generale del personale Alberto Chiovellidi attivare la “procedura di interpello” per 24 delle 29 posizioni dirigenziali di prima fascia, spedendo il bando a tutti i 223 dirigenti di prima e seconda fascia. La peculiarità è che 22 dei 24 incarichi triennali messi in gara non sono ancora scaduti.
SOLO DUE POLTRONEsono già vacanti. La prima dallo scorso primo maggio, quando ha lasciato il ministero Giovanni Guglielmi, direttore generale “per l’edilizia statale e gli interventi speciali”, già coinvolto nelle inchieste sulla ricostruzione de L’Aquila ma sempre rimasto al suo posto. Le voci di corridoio indicano in pole positionper la successione Lucia Conti, provveditore per le opere pubbliche in Toscana il cui incarico scade il 7 novembre. Se entro luglio, come tutto lascia prevedere, le venisse assegnato il posto di Guglielmi, verrebbe liberata la casella di Firenze. E in questo modo scatterebbe l’effetto domino con cui Delrio pensa di far ruotare tutti prima di andarsene. Anche Virginio Di Giambattista, direttore generale “per i sistemi di trasporto a impianti fissi e il trasporto pubblico locale”, il cui incarico scadrebbe il 4 agosto 2018.
Difficile dire quale risultato potrà vantare Delrio alla fine della giostra. L’obbligo di candidarsi per almeno due posizioni impedisce che il dirigente di prima fascia chieda solo di restare dov’è e permette a Delrio di dirottarlo sulla seconda scelta attivando il girotondo: il bando parla esplicitamente di “rotazione degli incarichi”. È vero però che questa tecnica del facite ammuina (“tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann' bascio...”) non sembra la più efficace per portare discontinuità nella foresta pietrificata di Porta Pia. Una regola sindacale dà ai dirigenti di prima fascia la precedenza sui 194 di seconda fascia nella corsa alle direzioni generali, e non lascia quindi spazio alle fantasie. Per esempio, l’immarcescibile Mauro Coletta – da tempo immemorabile a capo della preziosa e potente “Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostra- dali”, con cui modula miliardi di fatturato e profitti ai caselli e regola la temperatura dei rapporti tra lo Stato e le famiglie Benetton e Gavio – sembra sia destinato alla “Direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza delle infrastrutture stradali”, oggi tenuta da Ornella Segnalini e in scadenza il prossimo 9 settembre.
TRA COLETTA E SEGNALINI si ipotizza uno scambio alla pari, più doloroso per Coletta che per le concessionarie autostradali, rassicurate comunque dal nome di Segnalini in termini di continuità. L’organigramma del ministero, con il suo dedalo di 29 direzioni generali, sembra del resto fatto apposta per confondere le idee su competenze e responsabilità. Le due direzioni di Coletta e Segnalini hanno lo stesso rango gerarchico e lo stesso trattamento economico, ed è difficile capire i confini di compiti e responsabilità dell’una e dell’altra. Così come solo un vecchio topo di ministero, quale Delrio non è, potrà spiegare la differenza tra la Direzione generale “per la sicurezza nelle infrastrutture stradali” della Segnalini, quella “per la vigilanza sulle concessionarie autostradali” di Coletta e quella “per la sicurezza stradale” retta da Sergio Dondolini. Per esempio, quando casca un cavalcavia su un’auto che viaggia in autostrada, con quale delle tre direzioni generali se la prenderà Delrio?
Ruoli chiave inamovibili
Il prossimo titolare del dicastero non potrà spostare nessuno. Il ricambio garantirà gli attuali boiardi, a partire da chi vigila sulle autostrade