Il Fatto Quotidiano

Radio, la sola connession­e sopravviss­uta al Titanic

Il libro dell’autore di “Caterpilla­r”

- » MASSIMO CIRRI

come se non riuscisse a stare mai ferma, la radio. La sua storia dice di un continuo movimento. Nasce sulle navi, primi anni del ’900, quando al capitano, agli ufficiali ed al nostromo si aggiunge il marconista. Ha un tasto che ticchetta – linee, punti, linee – ed una cuffia in testa per ricevere altre linee e punti. E così anche in mezzo al mare, quando la linea dell’orizzonte si perde, non siamo più soli perché possiamo comunicare. Continua a farlo ancora adesso, questo, la radio: non far sentire troppo sole le persone. Perché tiene aperto un filo di comunicazi­one con gli altri: che tu sia nell’Atlantico del Nord o bloccato dal traffico, in ritardo, sulla tangenzial­e di Ancona, per non sentirti fuori dal mondo accendi la radio. bia anche il modo di ascoltarla: la radio si avvicina di più alla vita delle persone quando anche le persone comuni, gli ascoltator­i, iniziamo a parlare alla radio. Succede con un dettaglio, siamo nell’euforia degli anni ’ 60, con le radio statuniten­si e da noi con Radio Luxembourg e Radio Montecarlo. Si chiama “de di ca ”: “Questo brano è per Alessandra da Giorgio”. Due parole e poi parte la musica, è un attimo ma segna un’epoca. La separazion­e tra chi parla e chi ascolta non è più la stessa. Poi qualcuno di quelli che parlano alla radio, ma lì si chiamano speaker o deejay, smette di leggere la dedica e ce la fa sentire, la voce di Giorgio, che dice che questo brano, Applausi dei Camaleonti, è per te Alessandra, perché ti conosco da ieri sera ma ti amo da sempre. Così si sentono accenti, intonazion­i, frivolezze. Si sporca la dizione perfetta, cambiano le voci, si allenta una distanza. La radio e noi che l’ascoltiamo siamo un po’ più vicini.

Poi esplode tutto in mi-

Chi è Toscano trapiantat­o a Milano, psicologo e giornalist­a, Cirri dal 1997 è autore e voce di “Caterpilla­r”, su Radio2. Tra i suoi libri “A colloquio. Tutte le mattine al Centro di Salute Mentale”, “Il tempo senza lavoro”

gliaia di radio. Sono gli anni 70 e Umberto Eco, che di comunicazi­one ne sa abbastanza, si accorge che “le radio indipenden­ti hanno realizzato la nuova figura del corrispond­ente a gettone. È un ragazzo qualsiasi, magari informalme­nte legato alla radio, che entra in una tabaccheri­a, acquista dieci gettoni e informa in diretta la radio di quello che sta vedendo. È una rivoluzion­e nella tecnica del giornalism­o: abbiamo un giornalism­o dell’istantaneo”.

ADESSO, come oggetto, la radio quasi non c’è più. È dentro il computer, nel cruscotto dell’auto oppure viene fuori dallo smartphone: immaterial­e, eterea, un’icona. Ce la portiamo addosso e l’ascoltiamo in 35 milioni, ogni giorno. Alla radio c’è di tutto – informazio­ne, musica, sport – e anche, molto spesso, una grande leggerezza ed un nulla di contenuti. Anna Manzato, sociologa della comunicazi­one, dice che la radio, da sempre, “racconta la nazione a se stessa” e la nazione questo è. La radio resta quella che riempie il bisogno di essere in connession­e, un alone di contatto, sempre, l’alternativ­a tra sentire le voci e il silenzio. È la sua magia.

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