Il Fatto Quotidiano

Quando Miglio voleva il Sud diviso e mafioso

Dopo le parole dell’ergastolan­o, nuova luce sulle teorie del professore negli anni 90

- » GIANNI BARBACETTO

La

rivelazion­e è pesante: Gianfranco Miglio, senatore della Lega, “è sceso in Sicilia perché aveva un bel progetto” e “s’incontrò pure con Nitto”, cioè con Santapaola, il capo di Cosa nostra a Catania. È Giuseppe Graviano a dirlo – intercetta­to – al suo compagno di socialità in carcere Umberto Adinolfi. Graviano, boss di Brancaccio e stratega delle stragi del 1992-93, tra il gennaio 2016 e il marzo 2017 ha parlato con Adinolfi, come lui recluso ad Ascoli Piceno, non solo di Silvio Berlusconi (“Berlusca mi ha chiesto questa cortesia... lui voleva scendere... e mi ha detto: ci vorreb- be una bella cosa...”), ma anche di Miglio. Politologo, senatore del Carroccio, ideologo della Lega, Miglio propone nei primi anni Novanta la divisione dell’Italia in tre “cant o ni ”, Nord, Centro e Sud. Questo suo progetto è stato messo sotto osservazio­ne dall’indagine “Sistemi criminali” che ha tentato di raccontare il piano di Cosa nostra di costruire, alla fine della Prima Repubblica, un nuovo sistema politico, con le leghe del

Sud che si sarebbero spartite con la Lega Nord il controllo del Paese. Alleati in questa impresa, boss di Cosa nostra e uomini della ’Ndrangheta, massoni e reduci della P2, agenti dei servizi segreti ed eversori di lungo corso. Ora, alla luce delle confidenze di Graviano ad Adinolfi, il progetto politico di Miglio diventa qualcosa di più che una casuale coincidenz­a con i desideri di Cosa nostra. Acquistano nuova luce anche i racconti fatti nel 1993 dal collaborat­ore di giustizia Leonardo Messina ai magistrati di Pa- lermo, a cui aveva confidato come gli era stato bocciato il progetto di far fuori Umberto Bossi. “Ma che sei pazzo?”, erano insorti i boss, “Bossi è giusto”. E poi gli avevano spiegato di aver saputo da Totò Riina che non tanto Bossi, quanto Miglio, era collegato a “una parte della Democrazia cristiana e della massoneria che faceva capo all’onorevole Andreotti e a Licio Gelli”.

E CHE ERA IN CORSOun “lavoro”, a cui erano impegnati “Gelli, Andreotti e non meglio precisate forze imprendito­riali del Nord interessat­e alla separazion­e dell’Italia in più Stati”. Lo stesso Miglio ammette il “lavoro” in una clamorosa intervista rilasciata nel 1999 al Giornale. Conferma di essere stato davvero in contatto con Andreotti, proprio nel 1992, in una trattativa segreta per negoziare l’appoggio della Lega alla candidatur­a del Divo Giulio alla presidenza della Repubblica. Nell’intervista, Miglio parla anche di mafia: “Io sono per il mantenimen­to anche della mafia e della ’Ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalit­à del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelis­mo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestaz­ioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzio­nalizzate”. Poi, nel 1994, sia la Lega, sia Cosa nostra abbandonan­o il progetto secessioni­sta e abbraccian­o l’alleanza con il nuovo partito di Berlusconi, Forza Italia.

Così al Giornale Nella sua Italia divisa in tre, il Sud doveva “darsi uno statuto poggiante sulla personalit­à del comando”

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Gianfranco Miglio (1918-2001)
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