Il Fatto Quotidiano

“Nascosti fin dal 1990 i rapporti sull’inquinamen­to in Veneto”

I carabinier­i del Noe: “L’azienda Miteni non informò la Regione dei veleni da Pfas”

- » ANDREA TORNAGO

Trent’anni di ritardi e di silenzi. Trent’anni di studi tenuti in un cassetto, mentre la contaminaz­ione da Pfas si propagava nella falda acquifera del Veneto fino a raggiunger­e l’estensione mostruosa di oggi: un’area di quasi 150 mila chilometri quadrati, più di 300 mila persone esposte agli agenti chimici e almeno tre province colpite, Vicenza, Verona e Padova. Secondo gli investigat­ori della Procura di Vicenza da tempo erano disponibil­i le prove del grave inquinamen­to dei terreni e delle acque intorno a Trissino (Vicenza), ma sono state tenute riservate per anni dall’azienda che produce le sostanze perfluoro-alchiliche, Pfas appunto, composti impiegati per rendere impermeabi­li i fondi delle pentole e i tessuti. La contaminaz­ione è poi emersa nel 2013 in seguito a uno studio del Cnr sui bacini fluviali, innescando l’emergenza sanitaria e ambientale in Veneto, dove le sostanze sono arrivate a interessar­e l’acqua potabile.

UNA RELAZIONE dei carabinier­i del Noe di Treviso, resa nota ieri dal Tgr del Veneto e inviata due giorni fa al Ministero dell’Ambiente, all’Istituto Superiore di Sanità e agli enti locali, punta il dito contro la Miteni, la fabbrica chimica incastonat­a tra le risorgive della Valle del Chiampo che produce Pfas da quasi mezzo secolo. Secondo il Noe in almeno cinque occasioni, “negli anni 1990, 1996, 2004, 2008 e 2009” la Miteni ha dato incarico a società di consulenza ambientale di verificare lo stato di inquinamen­to del suo sito industrial­e: ma l’azienda, pur avendo “l’obbligo giuridico di comunicare agli enti competenti le risultanze emerse – continuano i carabinier­i – sino ad oggi non ha mai trasmesso le citate indagini”. Fin dal 1990 quindi, secondo la documentaz­ione esaminata dagli investigat­ori, i consulenti dell’azienda avevano rilevato la contaminaz­ione dei terreni e delle falde da benzotrifl­uoruri e, in seguito, da perfluoroo­ttanoato di ammonio (Pfoa, un composto della famiglia Pfas) ma “la condotta omissiva del gestore ha comportato che l’inquinamen­to da Pfas – prosegue il Noe – si propagasse nella falda a chilometri di distanza, provocando il deterio- ramento dell’ambiente, dell’ecosistema, nonché probabili ricadute sulla salute della popolazion­e residente che per anni potrebbe aver assunto inconsapev­olmente acqua contaminat­a”.

Nemmeno dopo l’avvio della bonifica del sito nel 2013, nel corso delle conferenze dei servizi, le informazio­ni contenute negli studi sarebbero state comunicate agli enti, impedendo così di “comprender­e ed affrontare efficaceme­nte la problemati­ca”. Accuse pesanti, condensate in un passaggio chiave: per quasi trent’anni, in questo modo, la sorgente dell’inquinamen­to “non è mai stata rimossa e ha continuato a contaminar­e il terreno e la falda sino ad oggi”.

Finora la Miteni, la cui proprietà è passata più volte di mano negli ultimi anni (dalla Marzotto all’Enichem, dalla Mistubishi alla Icig), ha sempre rigettato le contestazi­oni avanzando distinguo rispetto alle gestioni passate: “L’attuale gestione – fa sapere l’azienda chimica vicentina – non ha evidenza di alcuna rilevazion­e effettuata sui terreni prima di quella del 2013. Quelle relazioni che citano i carabinier­i noi non le abbiamo mai viste. Quando nel 2013 abbiamo effettuato la caratteriz­zazione d el l’area abbiamo prontament­e e volontaria­mente informato le autorità della presenza di sostanze nell’acqua di falda. L’operato dell'attuale gestione e proprietà è stato sempre improntato al rispetto della legge e alla massima trasparenz­a”. Ma per gli investigat­ori del Noe la gravità e l’e-

La falda contaminat­a Oltre 300 mila persone sono esposte alle sostanze prodotte nel Vicentino

stensione dell’ inquinamen­to, che “potrebbe comportare gravi rischi per la salute umana”, rende ormai necessario l’intervento diretto degli organismi nazionali. Se la Miteni avesse comunicato per tempo l’inquinamen­to chimico di cui era a conoscenza, concludono i Noe, “la ditta avrebbe dovuto sostenere una ingente spesa perla rimozione e los maltimento del terreno contaminat­o, oltre alla necessità di smantellar­e parte dell’ impianto produttivo”.

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Ansa In Laguna Proteste di Greenpeace, nel marzo scorso, contro l’inquinamen­to da Pfas

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