Isis anno zero Un giorno Trump ci mancherà
Fantapolitica ai confini dello Stato islamico
Il molo di Tartus assomiglia alla banchisa polare: una spianata enorme e biancastra, piena di fuliggine e fori di proiettile. Un tempo le strade erano affollate di automobili Lada e soldati che fumavano papirosa. Ora, nella nuova capitale del Califfato, di russo non ci sono neanche più i cartelli del distretto militare. Il mondo trema nell’attesa del primo discorso da leader del sedicente califfo al-Baghdadi, a cui anche a noi giornalisti occidentali è stato concesso assistere. Come si è arrivati a questo punto di non ritorno? Chi ha disegnato questo scenario degno dei più fantasiosi congegni narrativi di Ken Follett o Frederick Forsyth?
TUTTO INIZIA con l’attentato a Charlie Hebdoe giunge a piena maturazione nel febbraio 2017, quando una bomba sporca fa crollare la tribuna dello stadio di Houston durante il match del Superbowl. La visione degli oltre mille corpi mutilati e soffocati dalle esalazioni genera un violento contraccolpo nella “maggioranza silenziosa”: proprio la famigerata classe media, che aveva sostenuto la corsa di Donald Trump alla Casa Bianca, per la prima volta nella storia americana scende in piazza a invocare drastiche misure per la sicurezza e a ingaggiare una spaventosa “caccia al musulmano” che si protrae per oltre un mese. Impossibilitato a stroncare le rivolte e messo spalle al muro dallo scandalo del Russiagate, l’impulsivo presidente decide di dimettersi in favore del suo vice Mike Pence, ben più gradito ai signori delle armi e ai servizi di intelligence. Il quarantaseiesimo presidente dà subito il via libera a una rappresaglia contro l’Isis nelle città di Raqqa e Mosul – tre notti consecutive il- luminate a giorno da esplosioni e proiettili traccianti – e all’invio di truppe sul fronte siriano. Ma la mossa si rivela azzardata se non addirittura controproducente.
Innanzitutto, l’aiuto richiesto ai paesi Nato comporta un dazio: il via libera alla definitiva instaurazione di una dittatura islamica da parte di Erdogan, che con un capolavoro politico esautora il parlamento e avvia una fulminea opera di sterminio delle minoranze etniche: a partire da quella curda, ripetutamente aggredita con armi chimiche, di fatto “sgomberata” dalla Turchia e costretta a migrare in direzione dell’Armenia e dell’Azerbaigian. La visione delle file interminabili di profughi a pochi chilometri da casa offre a Vladimir Putin un doppio pretesto: mobilitare le truppe russe stanziate attorno al Mar Nero, presiedendo di fatto all’ultimazione del South Stream, il gasdotto che da fine mese diverrà pienamente operativo e assegnerà alla Gazprom il monopolio della fornitura energetica verso l’Europa; aizzare l’alleato iraniano a riprendere i test nucleari e riversare miliardi di dollari nelle casse degli sciiti, Hezbollah in testa, inasprendo le pressioni sui confini israeliani. Con una sola mossa, gli Stati Uniti aprono due nuovi fronti di guerra prima ancora di consentire ai propri soldati di posare gli stivali sulla sabbia del deserto.
FUTURO Il presidente Usa si dimetterà, Putin uscirà a pezzi da guerre e recessioni, l’Europa sarà immobile. E il Califfo parlerà al mondo Il libro
BEN PIÙ GRAVE, però, è il secondo errore compiuto dalla nuova amministrazione. Nella foga di riportare Putin a più miti consigli, il presidente americano ordina ai paesi dell’Opec di abbassare il prezzo del petrolio, mettendo in crisi le esportazioni russe e generando una recessione ben peggiore di quella del 2014: con la spesa pubblica tagliata drasticamente, la pressione migratoria lungo i confini e i sommovimenti in territorio ceceno e ucraino, il vecchio gigante asiatico deve rinunciare alla Siria per tamponare le emorragie finanziarie. Assad resta solo e viene decapitato dai mujahidin: è l’inizio della fine.
Hillary Clinton dichiarò un giorno: “L’Isis è roba nostra. Ci è sfuggita di mano”. Chissà cosa sarebbe accaduto se nel dicembre 2016 avesse vinto lei le elezioni