Il Fatto Quotidiano

Quanta nostalgia per Keanu quando era (davvero) Keanu

- » FEDERICO PONTIGGIA

In fondo è rimasto lì, al 2003, al dittico Matrix Reloaded e Revolution­s. Meglio, a quel Neo che nel 1999, sotto la direzione degli ex fratelli e ora sorelle Wachowski, gli diede imperitura gloria nell’originario Matrix. Schivava perfino i proiettili, allora, non l’abbraccio collettivo del nostro immaginari­o: Keanu Reeves, sangue meticcio, nome hawaiano da film di Ken Loach, che suona più o meno “brezza fresca sulle montagne”.

GIÀ PRIMA L’ATTORE nato a Beirut il 2 settembre 1964 aveva fatto, e fatto immaginifi­co: L’avvocato del diavolo (1997) con Al Pacino e Charlize Theron; Johnny Mnemonic( 1995); Speed, l’action su gomma del 1994; Siddartha nel Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci, anno di grazia 1993; Dracu la di Bram Stoker, regia di Francis Ford Coppola ( 1992); Belli e dannati (1991), con Gus Van Sant dietro la macchina da presa e il compianto River Phoenix sul set; il cultissimo Point Break (1991), lì dove iniziò tutto, con Kathryn Bigelow alla regia e lui e Patrick Swayze, un altro caro estinto, sulla tavola tra le onde. In soli otto anni Keanu Reeves mette insieme una filmografi­a che gli altri si sognano in una vita intera.

Anche lui dopo il 1999 di Matrix inizia a far sognare meno e sognare di più in pri- ma persona singolare, ma poco importa: è Keanu Reeves, anzi, è diventato Keanu Reeves. E può vivere di rendita: Constantin­e, A Scanner Darkly, Ultimatum alla Terra, la saga di John Wick e l’anno scorso una doppia sterzata su uno speranzoso cult per pochi, The Bad Batch di Ana Lily Amirpour, e uno speranzoso cult per qualcuno in più, The Neon Demon di Nicolas Winding Refn. Ruoli piccoli, ma – nelle aspettativ­e – di gran lustro, parti fighe per il figo che fu e, a quasi 53 anni, è ancora.

Sempre nel 2016 si ritaglia la parte del protagonis­ta in Una doppia verità ( The Whole Truth il titolo originale, da noi debitament­e disonorato), court drama di- retto senza infamia né lode da Courtney River, che pure veniva dal più che discreto Frozen River con Melissa Leo.

Sì, l’approdo tardivo nelle nostre sale a metà giugno denuncia il saldo estivo, e quel che vediamo non fa nulla per smentire. Eppure, ancor prima di addentrarc­i nel film un motivo di interesse c’è già, ed è il volto di Keanu: non ha una ruga una, è liscio come il Neo di Ma- trix o, addirittur­a, il Johnny Utah di Point Breakdi 26 anni fa. Splendido splendente – soprattutt­o se l’espressivi­tà facciale non è per voi imprescind­ibile – e liftato ad maiora, il nostro Reeves.

PER UN CRUDELE s ch e r z o del destino, Una doppia verità consegna anche il rovescio della chirurgia estetica: scommettia­mo che nessuno riconoscer­à Renée Zellweger, ovvero ravviserà la sua mera presenza nel cast? Non esageriamo, potreste addirittur­a pensare a un refuso sulla locandina, perché della Bridget Jones che fu, e che è tornata l’anno scorso in Bridget Jones’s Baby, è quasi impossibil­e trovare traccia in questa avvizzita e smunta Loretta. Dopo es- sersi pompata di tutto e di più, Renée è qui in versione palloncino sgonfiato: un’altra persona.

Ritocchi e rifaciment­i a parte, il dramma giudiziari­o ruota intorno al rintronato rich kid Mike Lassiter (Gabriel Basso) reo confesso de ll’assassinio del padre (Jim Belushi, si mangia tutti in quattro pose). Poco ci sarebbe da dibattere, se non che l’avvocat( ucol) o del diavolo Richard Ramsey (Reeves) ha promesso alla madre (Zellweger) di scagionarn­e il pargolo.

RIUSCIRÀ? Di certo, il ragazzo non collabora, si trincera dietro un mutismo beota, mentre sfilano testimoni inattendib­ili e si aprono doppi giochi e triplici menzogne. “Ma se tutti mentono – rintuzza la sinossi ufficiale – qual è la verità?”. Nonostante il puzzo di bruciato si respiri dalle prime inquadratu­re, il film per un’ora abbondante fa di tutto per non abbandonar­si all’inverosimi­le e, ancor prima, al cialtrones­co, ma il respiro drammaturg­ico è corto, le incongruen­ze affamate, il ridicolo affiorante. Keanu arringa senza battere ciglio, Renée è inerte oltre le esigenze di parte, e lo sceneggiat­ore Nicholas Kazan perfeziona: manda a gambe all’aria l’ambiguità e baratta Una doppia verità con una singola cazzata. Applausi registrati.

Il volto di “Neo” Lontani i tempi di “Matrix”, dove schivava le pallottole e faceva innamorare il pubblico. Ora è privo persino di espressivi­tà facciale

@fpontiggia­1

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Inattendib­ile Keanu Reeves in “Una doppia verità” di Courtney River

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