Il Fatto Quotidiano

Pd alla fame: Renzi ha speso 14 milioni per straperder­e il suo referendum

Referendum col buco I conti dem rivelano oltre 12 milioni di spese elettorali. I gruppi parlamenta­ri hanno messo altri due milioni

- MARRA E PALOMBI

Il tesoriere certifica l’abnorme investimen­to nella campagna per il Sì. Oltre ai quasi 12 milioni messi dal partito, ci sono gli oltre due pagati dai gruppi di Camera e Senato. Il risultato è noto

L’ordalia del referendum costituzio­nale rischia di costare assai cara al Pd: aver puntato tutto sul voto del 4 dicembre, infatti, ha portato Matteo Renzi e soci a spendere sulla campagna per il Sì soldi che il partito non aveva. Il bilancio 2016, svelato ieri da Huffington Post dopo l’a pprovazion­e in Direzione, si chiude con un rosso da 9,5 milioni di euro, che andrà coperto nel prossimo biennio a colpi di tagli sanguinosi, soprattutt­o al personale, visto che dal 2017 non c’è più il finanziame­nto pubblico (ne consegue, peraltro, che un rilancio dell’Unità a carico dei democratic­i è impossibil­e).

NONOSTANTE le profession­i di sobrietà arrivate dai vertici del partito nei mesi scorsi (“spenderemo massimo 6 milioni”) e il generoso aiuto degli imprendito­ri d’area (il finanziere Davide Serra è stato l’unico, però, a dichiararl­o ufficialme­nte), la faraonica campagna referendar­ia “Basta un sì” ha ammazzato i conti del partito: incrociand­o il bilancio del Pd e i rendiconti dei gruppi parlamenta­ri appena pubblicati, si arriva a una spesa di almeno 14 milioni di euro, quattro in più – per dare un’idea - di quanto al Nazareno si spese per la campagna elettorale delle Politiche del 2013, quando però c’era ancora un ricco “rimborso” per ogni voto ricevuto.

Sta di fatto che i democratic­i avevano chiuso il 2015 con un bilancio in sostanzial­e pareggio e disponibil­ità liquide per quasi 10 milioni e ora sul conto si ritrovano un milione e 700mila euro e il rosso di cui sopra. La nota integrativ­a non lascia dubbi: “Il decremento delle disponibil­ità liquide è legato ai maggiori esborsi che il partito ha avuto nell’esercizio 2016 e legati principalm­ente ai costi della campagna referendar­ia”.

I numeri aggregati sono questi. Nel bilancio del partito firmato dal tesoriere renziano Francesco Bonifazi risultano spese per campagne elettorali nel 2016 per 11,6 milioni di euro: l’anno scorso ci sono state anche le amministra­tive ( Roma, Milano, etc) per le quali non risultano però contributi straordina­ri del partito. “Basta un sì”, insomma, dovrebbe aver assorbito gli 11 milioni e mezzo delle spese elettorali dichiarate dal bilancio democratic­o e pure quasi tutti i 763 mila euro classifica­ti come “manifestaz­ioni, eventi e servizi elettorali in genere”. I soldi che mancano per arrivare a 14 milioni li hanno messi i gruppi parlamenta­ri: “La campagna informativ­a sulla Riforma costituzio­nale e il referendum costituzio­nale del 4.12.2016” è costata “1.416.384 euro”, si legge nel rendiconto dei deputati Pd. Con gli eventi sul territorio, le altre campagne di comunicazi­one, gli spazi informativ­i alla Festa nazionale dell’Unità intitolata al Sì alla riforma Boschi si arriva a circa due milioni (600mila euro dal gruppo del Senato, il resto da quello della Camera).

CON QUESTI soldi - oltre al mega-compenso del guru Jim Messina, che ha appena terminato di rendere i suoi servigi a Theresa May, dopo aver dato lustro alla campagna di Hillary Clinton – sono stati pagati gli innumerevo­li eventi pubblici di “Basta un sì” (il bilancio ne cita “tra i principa li” la bellezza di 52) e le campagne “porta a porta”: solo spedire 2,5 milioni di lettere agli italiani all’estero e consegnare 16 milioni di volantini a quelli residenti in patria dovrebbe essere costato ai democratic­i almeno 7 milioni di euro.

Il tesoriere Bonifazi, sem- pre con l’Huffington, non pare preoccupat­o: “La gestione caratteris­tica è virtuosa. La perdita, sulla base del piano industrial­e asseverato da uno dei migliori studi italiani di consulenza (lo studio Pirola - Pinnuto - Zei, ndr) porta all’assorbimen­to della medesima tra l’esercizio 2017-18. Percorrere­mo con forza le strade del potenziame­nto del funding e del 2x1000, di recupero delle somme ancora dovute da una parte minoritari­a di parlamenta­ri, nonché con una necessaria ulteriore diminuzion­e dei costi”.

Quanto alle donazioni e al 2 per mille difficile salire abbastanza, mentre tagliare il personale o la spese del partito è inevitabil­e, anzi è un processo già iniziato: a Genova, per dire, avevano chiesto 100mila euro per la campagna elettorale e non li hanno avuti e ora il candidato del centrosini­stra Crivello si trova oltre 5 punti dietro a quello del centrodest­ra Bucci. Non è antipatia per il candidato in odor di Bersani del capoluogo ligure: il futuro che attende il partito è questo e sta scritto nei numeri.

Il bilancio del Pd, per effetto dell’abolizione del finanziame­nto pubblico, si contrae da anni: il “fatturato” dem nel 2013 era di quasi 49 milioni di euro per la metà dovuti a rimborsi elettorali; nel 2014 si era già scesi a 27,3 milioni (12 mi- lioni dai rimborsi), diventati 22,2 nel 2015 e venti milioni al 31 dicembre 2016, quando è stata registrata l’ultima tranche di soldi pubblici (2,6 milioni di euro). L’anno scorso, però, il bilancio s’è contratto e le spese invece sono esplose per pompare la grande scommessa renziana: quasi 30 milioni, che hanno causato il rosso da nove milioni e mezzo.

SPARITI I SOLDI pubblici, le fonti di finanziame­nto più rilevanti del partito - ora e per il futuro - sono tre: il 2 per mille (6,4 milioni nel 2016), i contributi dei parlamenta­ri (6,6 milioni) e le donazioni di persone fisiche e aziende (quasi un milione e mezzo). Recuperare 9 milioni in due anni con la prospettiv­a, peraltro, di veder diminuire il numero dei parlamenta­ri (e i relativi contributi) significa una cosa sola: l’attività del partito sarà ridotta al lumicino e il costo maggiore lo pagheranno i 184 dipendenti (56 in aspettativ­a e 13 in distacco), che costano la non piccola cifra di quasi 8 milioni l’anno.

Per poter fare la campagna per le prossime elezioni politiche, insomma, Matteo Renzi, più che organizzar­e cene di finanziame­nto, dovrà aprire un ristorante a ciclo continuo oppure cambiare metodo: come dimostrano i quasi 20 milioni di No al referendum, i soldi non sono tutto.

 ??  ??
 ??  ??
 ?? Ansa ?? Costituent­i Matteo Renzi in uno degli eventi per il Sì Accanto, il tesoriere Pd Francesco Bonifazi
Ansa Costituent­i Matteo Renzi in uno degli eventi per il Sì Accanto, il tesoriere Pd Francesco Bonifazi
 ?? Ansa ?? Protagonis­ti Maria Elena Boschi diede il suo nome alle riforma. Sotto l’ex numero 2 del Pd Lorenzo Guerini
Ansa Protagonis­ti Maria Elena Boschi diede il suo nome alle riforma. Sotto l’ex numero 2 del Pd Lorenzo Guerini
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy