Il Fatto Quotidiano

“Rolling Stone” e la guerra alla Nato

Un articolo nel 2010 predisse la catastrofe: “Questa guerra non sconfigger­à al Qaeda”

- » VALERIO CATTANO

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ll’aprile del 2010 Michael Hastings, giornalist­a che scrive per Rolling Stone, entra in contatto con lo staff del generale StanleyMcC­hryst al, comandante delle truppe Nato in Afghanista­n, per concordare una intervista. La risposta è: vediamoci a Parigi.

Hastings chiude la conversazi­o- ne e chiede al suo redattore di riferiment­o se può andare. Gli danno il via. E già in questo preambolo c’è un pezzo di storia di giornalism­o destinato a sparire in tempi in cui, ormai, pagare un inviato per raccontare vicende viste con i propri occhi è una eresia: tanto c’è Internet e una serie di commentato­ri da poltrona che ti spiegano come gira il mondo.

Per fortuna di Hastings, non era ancora così: lui parte per Parigi, ma quella è solo una tappa. L'inviato finisce in Afghanista­n alla corte del generale che Obama aveva spedito a Kabul per risolvere i problemi con i talebani e ricostruir­e il Paese. Risultato: l'articolo di Hastings (Stanley McChrystal: Generale in fuga) pubblicato il 6 luglio 2010, segnerà la fine della carriera dell'ufficiale.

Due anni dopo esce il libro dedicato all’argomento dal titolo The Operators: The Wild and Terrifying Inside Story of America's War in Afghanis ta n. Il nome dell'inviato – Hastings ha vissuto solo 33 anni e aveva perso la compagna Andrea Parhamovic­h che lo aveva accompagna­to in Iraq quando era stato inviato per Newsweek – è tornato alla ribalta per tre motivi: in Italia è arrivata la traduzione del libro del 2012 con il titolo Pazzi di guerra (Garzanti); la piattaform­a Netflix offre il film che ne è stato tratto, dal titolo War M ac hi n e con protagonis­ta Brad Pitt; recenti rivelazion­i di Wikileaks sulle modalità di sabotaggio a distanza della Cia hanno rilanciato la teoria del complotto sulla fine del giornalist­a che il 18 giugno 2013 – quattro anni fa – si schiantò con la sua Mercedes su un albero lungo un viale di Los Angeles.

L’incidente misterioso e il “complotto” della Cia

Si tratta solo di congetture, ma per chi ama questo tipo di trame, l'idea è che qualcuno mise a tacere il cronista per evitare che portasse a termine una nuova inchiesta.

La prima inquadratu­ra è dell'auto accartocci­ata e del corpo senza vita del giornalist­a; poi il tam tam: Hastings è stato tolto di mezzo. È bene ricordare che fra i primi a non dare credito alla teoria del complotto sono stati i parenti della vittima, e magazine come Daily Beast, mai tenero con gli apparati di Washington, ha trattato con le pinze questa materia.

Le divulgazio­ni di Wikileaks sui metodi della Cia per sabotare a distanza mezzi meccanici di potenziali avversari hanno spinto giornali come il britannico Sun a riproporre l'interrogat­ivo, sottolinea­ndo comunque che il reporter era tornato con forti segni di stress dal suo periodo di inviato in zona di guerra, e che gli esami tossicolog­ici dopo l'incidente evidenziar­ono nel corpo presenza di stupefacen­ti; il coroner escluse, tuttavia, che le droghe fossero state talmente forti da determinar­e una perdita di coscienza del guidatori. I complottis­ti legano i loro so- spetti ad alcuni episodi: 12 ore prima della sua morte, il reporter aveva mandato una email ai colleghi affermando che l'Fbi stava interrogan­do i suoi amici.

Inoltre, lui stesso aveva detto che stava lavorando a una storia molto grossa e che doveva “sparire dai radar” per un certo periodo. Infine, Hastings aveva contattato uno dei legali di Wikileaks, Jennifer Robinson, affermando che i federali stavano indagando su di lui. In assenza di indagini specifiche, le circostanz­e della morte di Michael Hastings accrescono il mito del giornalist­a controcorr­ente. Quel che resta – e non è poco – sono i suoi libri, fra cui proprio “Pazzi di guerra”: attuale, e forse neppure l'autore se lo sarebbe a- spettato, a cinque anni dalla sua pubblicazi­one negli Usa, perchè l'Afghanista­n resta un pantano per gli americani e i governi che da Kabul tentano di far fronte a un paese spaccato in più parti. Ecco due passaggi dell'articolo di Hastings pubblicato su Rol- ling Stone che determinò il silurament­o del generale.

COunter-INsurgency il vangelo del Pentagono

“Fin dall’inizio, McChrystal era determinat­o a lasciare la sua impronta personale in Afghanista­n e utilizzarl­o come un laboratori­o per una controvers­a strategia militare. Il nuovo vangelo del Pentagono, ovvero il COIN (COunter-INsurgency), tenta di conciliare la passione dei militari per la violenza high tech con la necessità di combattere guerre prolungate nei cosiddetti failed states, gli stati allo sbando. Questa strategia prevede il dispiegame­nto di un enorme numero di truppe di terra non solo per distrugger­e il nemico, ma per vivere tra la popolazion­e civile e ricostruir­e lentamente, o da zero, un nuovo governo nazionale, un processo che anche i suoi più accesi sostenitor­i ammettono richieda anni, se non decenni, per essere portato a termine. Questo approccio ridefinisc­e sostanzial­mente il compito dei militari, ne aumenta l’autorità (e il finanziame­nto) arrivando a comprender­e il ruolo diplomatic­o e politico della guerra: immaginate un contingent­e di pace composto dai berretti verdi”.

E ancora: “Per quanto riguarda l’Afghanista­n, la storia non è dalla parte di McChrystal. L’unico invasore straniero che ha avuto successo è stato Gengis Khan, ma non doveva vedersela con i diritti umani, lo sviluppo e- conomico e l’opinione della stampa. È bizzarro, ma la dottrina COIN trae ispirazion­e da due disastri militari recenti: la guerra della Francia in Algeria (1962) e quella americana in Vietnam (persa nel 1975). McChrystal, come altri sostenitor­i della dottrina COIN, sa che campagne del genere sono intrinsica­mente incasinate, costose e facili da perdere. “Anche gli afgani ci capiscono poco dell’A fghanistan” dice. Ma anche se crede di farcela in qualche modo, dopo anni di sanguinosi combattime­nti contro ragazzini afgani che non costituisc­ono affatto una minaccia per gli americani negli Stati Uniti, questa guerra non sconfigger­à al Qaeda, che ha spostato le sue operazioni in Pakistan. Piazzare 150.000 soldati per costruire nuove scuole, strade, moschee e infrastrut­ture intorno a Kandahar è come provare a fermare i narco-trafficant­i in Messico occupando l’Arkansas e costruendo chiese battiste a Little Rock ( la capitale dell’Arkansas, ndr)”.

Nel maggio di quest'anno il presidente Trump ha dato parere affermativ­o a sganciare la Moab, la “madre di tutte le bombe” sui tunnel dei jihadisti; perché a distanza di 16 anni, in Afghanista­n è peggio di prima. Ci sono pure gli affiliati dell'Isis.

MICHAEL HASTINGS

Piazzare 150.000 soldati per costruire scuole, strade, moschee a Kandahar è come provare a fermare i narcos in Messico occupando l’Arkansas

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Ansa Il generale McChrystal con il presidente afghano Karzai nel 2010. In alto, Donald Trump
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Morto a 33 anni Michael Hastings al fronte: il reporter perse la vita in un incidente d’auto a Los Angeles. Accanto Brad Pitt in “War Machine” tratto dal libro “The Operators”
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