Il Fatto Quotidiano

“Io, detta la Rossa e la sciupafami­glie di Gianni Morandi”

L’INTERVISTA Amori, liti, accuse, politica e scoop vissuti da una delle grandi del cinema

- » ALESSANDRO FERRUCCI E FABRIZIO CORALLO Twitter: @A_Ferrucci

SÈ il nome d'arte di Paola Gargaloni, nata a Parma nel 1941. La fama l’ha raggiunta con il film-tv “I promessi sposi”, trasmesso dalla Rai nel 1967; ha girato con registi come Bellocchio, Salce, Comencini, Avati e Bolognini. In teatro ha lavorato con Vittorio Gassman. Sempre per la Rai è tra le protagonis­te di “Incantesim­o” (serie 1-9)

embra un racconto alla John Fante, o in stile Moehringer, ma siamo a Roma, sono i primi anni Sessanta, quando i sogni si confondeva­no con la realtà e Paola Pitagora stava per entrare nel mondo fatato di Fellini: “Tutto è nato da un distributo­re di benzina, Renato (Mambor) lavorava lì, la sua arte non bastava per vivere, quindi bene arrangiars­i. Un giorno si ferma un’auto, un’auto importante, dentro c’erano Federico Fellini e il suo aiuto-regista, Guidarino Guidi. Guardano Renato e restano folgorati: era alto quasi due metri, bellissimo, grande personalit­à, spiccava nella sua tuta azzurra. Viene ingaggiato per la Dolce vita, e mi porta con sé. Ci amavamo e condividev­amo”. Paola Pitagora racconta quegli anni improvvisi, “vissuti quasi con incoscienz­a”, in un libro bello, vero, di atmosfera ( Fiato d’artista. Dieci anni a Piazza del Popolo, ripubblica­to di recente da Sellerio), costruito tra i vicoli della Capitale, la solidariet­à, le discussion­i, il maschilism­o, la politica e le aspettativ­e di un gruppo di artisti (da Kounellis a Pino Pascali, fino a Schifano oltre allo stesso Mambor) ancora lontano dall’incidere il proprio nome e cognome negli annali dell’arte.

Era il tempo delle mezze porzioni al ristorante...

Sì, ma le chiedevamo abbondanti. Oppure puntavamo sulle minestre, magari intere, costavano meno e davano sollievo allo stomaco.

Non c’era una lira...

Zero. E vivevamo al centro di Roma, tutti gli studi degli artisti erano intorno a piazza del Popolo, giravamo sempre per quel triangolo, la nostra vita racchiusa in un fazzoletto. Una meraviglia... non ce ne rendevamo conto.

Di cosa, in particolar­e?

Di quanto fosse bella quella Roma. Unica. Stimolante. Era anche l’epoca di via Veneto.

Lontanissi­ma da noi: eravamo dei poveracci, non ci andavamo, era per cinematogr­afari, vip, turisti statuniten­si, altri prezzi, altre liturgie, altra generazion­e.

Vietata a voi...

Il punto è un altro: non ci ve- niva proprio in mente. Con Renato abbiamo sfiorato quell’atmosfera solo con la comparsata nella Dolce vita. Ah, Anita Ekberg era strepitosa.

Bella come poche. Circondata da una serie infinita di innamorati, da Walter Chiari a scendere, tutti appresso a lei, a contenders­ela, mentre aveva già scelto il preferito: Gianni Agnelli. O almeno così si diceva... Insomma, tutto nasce per un rifornimen­to di benzina... Profession­almente devo molto a quel caso. L’unica domanda che l’assistente di Federico fece a Renato, fu: ‘Sai ballare?’. Sì. ‘Bene’. Poi prese il suo telefono e se ne andò.

E dopo?

Renato ottiene un appuntamen­to e si porta dietro la ragazza, cioè io. L’ingaggio era di ben 15 mila lire, una cifra pazzesca, noi inebriati di ricchezza, e per lavorare appena una settimana e di sera.

I suoi genitori erano d'accordo con le aspettativ­e d'attrice?

Mia madre no, era l’epoca del ‘cosa ti laurei a fare, tanto ti devi sposare’. Volevano mi iscrivessi a un corso da segretaria d’azienda e a 19, 20 anni avrei avuto un impiego fisso.

Lei non ci pensava minimament­e.

Ci ho provato, poi la malinconia mi ha assalito, mi sono iscritta a una scuola di recitazion­e part-time, dove ho incontrato Mambor. Però non intendevo intraprend­ere questo mestiere, volevo solo uscire da un bozzolo.

Poi ha frequentat­o la celebre scuola di Alessandro Fersen...

La svolta. Venni selezionat­a insieme ad altre nove persone, cinque femmine, altrettant­i maschi, un contratto di sette anni con 50 mila lire al mese garantito dal produttore Franco Cristaldi, in cerca di talenti da crescere. Poter lavorare senza l’assillo della fame. E poi allora c’erano set ovunque, Fersen ci diceva: ‘Dovete difendervi dal lavoro, dovete fare scelte giuste’. Capisce? ‘Difenderci dal lavoro’, una frase che oggi fa sorridere.

Com’era da studentess­a-attrice?

Impacciata. Una volta il mae- stro mi prese a schiaffi: ‘Datti una mossa, svegliati!’. Inoltre arrossivo sempre e per le situazioni più imprevedib­ili, specialmen­te per gli sguardi maschili.

Nel libro racconta i provini di allora...

Maschilism­o puro, le attrici erano catalogate per le doti fisiche, la prima frase era ‘signorina faccia vedere le gambe’, e non parliamo solo del regista, le richieste arrivavano pure dalle maestranze o dagli aiuti. Anzi, il test partiva da loro.

E lei?

Mi presentavo con una fotografia in costume da bagno, ma non bastava, spesso scappavo.

Insomma, allora funzionava così...

Perché, oggi no?

Ce lo dica lei...

(La risposta è chiusa in un suo sorriso)

Comunque, questo atteggiame­nto era costante... Non sempre, come nel caso della Rai, un altro livello. Una volta mi sono trovata in un provino con Pintus, Barbato e Zavoli, carinissim­i a scrivermi i testi che poi imparavo a memoria. E poi il teatro: un’altra storia, migliore. Mambor come si rapportava ai suoi primi successi? Insomma, la donna di talento è sempre difficile da sopportare, e anche Renato accusava qualche colpo. Temeva di non sapermi gestire. Però finita la nostra storia, siamo rimasti amici, fino alla fine.

Era infastidit­o dagli uomini

che le giravano attorno?

Di solito no, solo quando gli rivelavo che mi piaceva qualcuno, allora scattava il problema. Vi tradivate?

Qualcosa, ma negli ultimi tempi del rapporto. Avevamo l’obbligo della sincerità, ci raccontava­mo ogni cosa, le mie e le sue, in qualche modo ci scaricavam­o la coscienza. Lei era gelosa?

In un’occasione gli ho buttato il materasso giù dalle scale.

Gli altri artisti del gruppo cosa dicevano di lei?

Da tutti ero considerat­a solo la fidanzata di Renato, un’attricetta, Pino Pascali era l’unico che mi parlava da pari a pari, l’unico che mi guardava negli occhi. Torniamo al set della Dolce

vita...

Fellini si coccolava i suoi attori come fossero delle crea-

ture, con Anita arrivava a trattarla da bambina, la proteggeva, la avvolgeva con il suo ‘io’. Insegnava cinema?

Eccome. Si sedeva e impostava la scena, chiedeva ai protagonis­ti di accomodars­i con lui e raccontava cosa voleva, li guidava verso la sua visione. Tracciava il sentiero. Dopo piccoli ruoli, quello da protagonis­ta è arrivato con

I pugni in tasca di Bellocchio.

Leggo il copione e mi prende un colpo: a un certo punto il protagonis­ta, Lou Castel, uccideva la mamma spingendol­a in un burrone. Guardo Renato e gli dico: ‘Non ce la faccio, sembra un film dell’orrore!’. E lui: ‘Vai, è da protagonis­ta’. E invece?

Sul set capisco la forza di Bellocchio, nascosta dietro la sua timidezza. Una scena non veniva mai girata più di tre volte, nonostante la giovane età sapeva quello che voleva. Ci furono problemi successivi...

Soprattutt­o per la distribuzi­one. Dino De Laurentiis non lo voleva, al grido: ‘ La mamma non si uccide!’. La vera fama arrivò con il ruolo di Lucia ne I Promessi

sposi...

Neanche intendevo presentarm­i al provino, mi sembrava troppo lontana da me. Io che faccio il voto di verginità? Ma vogliamo scherzare! Però un grande cast...

Un livello incredibil­e, una

Biografia PAOLA PITAGORA Circondata da una serie infinita di innamorati, da Walter Chiari a Ciro Ciri; lei aveva scelto Gianni Agnelli

ANITA EKBERG Fidanzati 12 anni, solo alla fine l’ho tradito. Ci dicevamo tutto. Io gelosa? Gli ho buttato il materasso fuori dalla porta

RENATO MAMBOR

cura totale, uno studio del linguaggio che oggi si è perso. E iniziarono a riconoscer­la per strada...

A volte mi imbarazzav­o. Però nel 1968, in piena contestazi­one, al Festival di Pesaro un gruppo di ragazzi mi riconosce, mi ferma e consegna un mazzetto di foglietti con la loro firma. Avevano ribaltato il concetto di autografo. Bellissimo. Lei era considerat­a un’ intellettu­ale ... No, sbagliato: la definizion­e giusta era‘ un’ intellettu­ale del cazzo ’, etichetta affibbiata dopo il film di Bellocchio. Nel libro scrive: ‘Gli attori si sa, non hanno etica’. Frase un po’ ironica, ma quando uno vede in uno spot Antonio Banderas che parla con una gallina, non pensa che lo fa per amore dell’arte. Poi sulle attici c’è una pendenza in più... Quale?

Le domande ‘a chi l’hai data? ’ e ‘ quante volte l’hai data?’. Le è stata rivolta in molte situazioni?

Una persona se la vede tra sé e sé, e non si deve mai dire ‘io non l’ho data a

nessuno’ o ‘io l’ho data a...’. Quanto fa parte del suo ambiente questa storia di ‘darla’? Si narra che il primo cinema hollywoodi­ano fosse interpreta­to da sole fidanzate di produttori. L’imprinting...

Poi è proseguito: durante i miei anni, le star si chiamavano Cardinale e Loren, donne di talento ma con un signore importante dietro a seguirle. La Cardinale a un certo punto si è ribellata...

Solo quando era già una star

internazio­nale. Questo atteggiame­nto maschilist­a si è mitigato con gli anni Settanta? Solo in peggio. Tra una canna e un bicchiere di vino ti dicevano: ‘Che nun ce vieni con me?’ No. ‘Allora sei una borghese’. Tutto era borghese, tutto quello che non funzionava per loro, sparavano una serie infinita di stupidaggi­ni. Lei era attaccata per la storia con Morandi...

Un massacro. Venivo dipinta come la ruba mariti o la sciupafami­glie, io ero ‘l’altra’, la perfida, e questa storia è durata anni e anni, una sorta di stalking, fino a quando un mio amico avvocato mi ha spinto alla querela, e ho vinto. Non era vero...

No, sono arrivata quando Morandi e la moglie si erano già lasciati, e non a causa mia.

Però l’obiettivo era far esaltare la purezza del cantante rispetto a me. La sua carriera danneggiat­a?

Sì, e non poco. Non solo: la storia coincise con un altro problema, questa volta politico. Cosa era successo?

Siamo nel settembre del 1973, uccidono Allende, al palazzo dello Sport di Roma organizzan­o una grande manifestaz­ione in difesa del Cile. Sono coinvolta. Presa della foga mi affaccio sul palco e alzo il pugno chiuso. Pochi giorni do-

po esce un articolo su Pano

rama con il titolo ‘ Paola la rossa’. E quindi?

Ero sotto contratto con la Rca, filo-Vaticano, mi dimezzaron­o subito il cachet. Dopo il palazzo dello Sport rilasciò una pesante intervista a Panorama... La giornalist­a era la figlia di un illustre magistrato milanese, mi contattò e scrisse delle cose molto pesanti come fossero state pronunciat­e da me. Ma le aveva dette o no?

Metà e metà. Ma all’epoca ci stetti male, avevo paura a uscire. Parliamo di anni tosti, stava per iniziare la fase terroristi­ca, venir definita ‘Paola la rossa’ non era semplice. Sarà stata controllat­a dai servizi segreti...

Non lo so, ma alcune situazioni strane riguardano quel periodo. Una volta, in un alber-

go, ho incontrato una persona che sapeva tutto di me, cose non pubbliche. Un avvertimen­to...

Può essere. Spesso ho trovato dei volantini nel camerino, mai saputo chi li mettesse. L’attore più coinvolto politicame­nte era Volonté...

Una volta, a una manifestaz­ione sindacale, arrivò con un cartello sul quale era scritto ‘Abbasso lo zoom’. Cosa voleva dire?

Mai saputo. Mai...

E me lo sono domandato tante volte. Ma lui era così, quando parlava pendevamo dalle sue labbra, un carisma imparagona­bile, lo chiamavamo ‘Lotto continuo’, protestava pure perché lo pagavano troppo... un attore strepitoso, un mostro, a livello interiore tirava fuori cose incredibil­i. A casa sua si parlava di politica?

Certo. Delle risse violente, uscivo con le orecchie rosse per le urla. Ma in quegli anni tutta l’Italia discuteva di Pci, Dc, compromess­o storico, divorzio. Anni recenti: lei ha ottenuto una nuova popolarità con

Incantesim­o...

E soprattutt­o sono riuscita a pagare il mutuo, per noi attori non capita spesso di avere una continuità lavorativa così lunga: ben nove anni di fiction. Ha l’ansia da palco?

Sempre, una strizza vera, vissuta con i miei piccoli riti, come raccoglier­e i chiodi in quinta. Meglio se arrugginit­i. Ama sempre il palcosceni­co?

Tantissimo, ma in questi ultimi anni si è diffusa questa abitudine di tenere il cellulare acceso, con la luce che ti distrae dallo spettacolo... Una sera Servillo ha smesso di recitare e per questo motivo. Ha fatto bene, proprio bene. Il teatro è meditazion­e, se uno si annoia, meglio uscire, resti a casa. Lei è stata in tournée con Gassman...

Eravamo in tre, con noi anche Fred Bongusto. Che fatica!

Per Bongusto...

No, mi riferisco a Vittorio. In quel periodo voleva rompere, puntava sul teatro d’a va nguardia: a Caracas, in occasione della prima, si presentò in platea con un’enorme insalatier­a di pasta da offrire. Reazione?

Le critiche ci hanno ammazzato, lo spettacolo era il caos, un ibrido pazzesco. Osava dirlo a Gassman?

Sì, infatti siamo finiti a birrate addosso. Solo dopo anni ci siamo riconcilia­ti. Il suo domani?

Difficile dirlo, non ci sono parti per le attrici della mia età. Non c’è nulla. È veramente un altro mondo...

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Fiato d’artista Paola Pitagora 204 12e l Pagine: Prezzo: Editore: Sellerio
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 ?? Foto Pizzi ?? Vista da Umberto Pizzi Da sinistra: con Alberto Moravia, con un giovane Cecchi Gori. Accanto, Renato Mambor
Foto Pizzi Vista da Umberto Pizzi Da sinistra: con Alberto Moravia, con un giovane Cecchi Gori. Accanto, Renato Mambor
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