Il Tesoro sfiducia il Cda Consip: così caccia Marroni ed evita il Senato
Salta l’ad che accusò Tiziano e Lotti Il pressing del ministero del Tesoro porta alle dimissioni del presidente Ferrara e di una consigliera. Cda azzerato
Ivertici di Consip, la società appaltante più importante d’Italia, coinvolta nell’indagine per una maxi tangente di 2,7 miliardi di euro, sono stati azzerati. Si sono dimessi i consiglieri del Tesoro nel Cda: il presidente Luigi Ferrara (sentito come testimone dalla Procura di Roma venerdì) e la consigliera Marialaura Ferrigno. Di conseguenza, essendo formato da tre componenti (l’altro è l’amministratore delegat, Luigi Marroni) decade l’intero boar d della società controllata dal ministero dell’Economia (Mef). Entro otto giorni dovrà essere convocata l’assemblea per la nomina dei nuovi vertici.
SALTA COSÌ Marroni, l’ad, teste chiave nell’indagine che vede coinvolto anche Luca Lotti per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio: proprio Marroni aveva chiamato in causa il ministro con i pm di Napoli in relazione alla fuga di notizie che consentì ai vertici Consip di ripulire gli uffici dalle microspie e avrebbe confermato, secondo l’Ansa, alla Procura di Roma. Sempre Marroni aveva denunciato di aver ricevuto pressioni per orientare gli esiti di importanti gare d’a pp al to dall’imprenditore Carlo Russo, amico di Tiziano Renzi, che avrebbe detto di parlare a nome del padre dell’ex premier.
Finora Renzi &co. non avevano scaricato l’ad, nominato dall’ex capo del governo, nonostante la sua versione fosse in contraddizione con quella di Lotti. Forse temevano ritorsioni e ulteriori rivelazioni. Determinante è stata la dina- mica innescata dalla mozione presentata in Senato da Andrea Augello e Gaetano Quagliariello per chiedere al governo la sua rimozione. Capito che il rischio di andare sotto era fortissimo, il Pd, d’accordo con Renzi e Gentiloni, ha presentato venerdì una sua mozione con la stessa richiesta, ma dalla quale erano spariti il nome e il ruolo di Lotti, a prima firma Luigi Zanda, capogruppo dem. Un modo per fargli capire che aveva i giorni contati. Marroni però non si è dimesso, nonostante l’“avvertimento”. E nonostante il pressing del Tesoro e dello stesso Ferrara, che aveva garantito nei giorni scorsi a Zanda che se Marroni non si fosse dimesso prima di martedì, in tempo utile per evitare il voto del Senato, si sarebbe dimesso lui. Contatti (non confermati dal Mef) ci sarebbero stati anche tra Marroni e Padoan.
“ORE FEBBRILI nella maggioranza e nel governo. L’ultima via d’uscita è costringere la maggioranza del superstite Cda di Consip alle dimissioni – commentano Augello e Quagliariello – non è un bello spettacolo, ma ci consola aver innescato un meccanismo irreversibile che sta spazzando via il pittoresco e avventuroso management renziano”. E dunque, il governo e il Pd hanno raggiunto il loro obiettivo: evitare le mozioni, mettendo Marroni alla porta. Il fatto che non si sia dimesso spontaneamente, però, chiarisce che a questo punto l’ex ad è un nemico acerrimo del potere renziano. Ma vitale era evitare la figuraccia che avrebbe visto un Parlamento votare la richiesta all’esecutivo di far dimettere il capo di una società di cui il governo (in quanto Mef) è azionista di riferimento, ma di cui in ultima istanza il proprietario è il popolo italiano. Nessuna decadenza automatica è possibile, salvo il caso di sentenze di condanna ma Marroni non è neanche indagato. Restava la possibilità di appellarsi punto 3.2 lettera c), del codice etico della Consip, che raccomanda di “operare nei rapporti con i terzi con imparzialità, trasparenza e correttezza, evitando di instaurare relazioni che siano frutto di sollecitazioni esterne o che possano generare un conflitto di interesse”. E in effetti Marroni non ha denunciato alla magistratura spontaneamente i presunti interventi illeciti, scoperti solo dagli investigatori. Aveva presentato le dimissioni a Padoan due volte e due volte se le era viste respingere. E quindi, avrebbe potuto chiedere i danni.
D’ALTRA PARTE, la permanenza di Marroni se il Parlamento chiedeva di rimuoverlo non sarebbe stata più sostenibile. C’è un altro elemento che spiega la tempistica. La rimozione, infatti, avviene dopo che Marroni ha deciso di escludere l’imprenditore indagato Alfredo Romeo dalla maxi gara Facility Management 4 ( al centro dell’indagine che ha coinvolto Renzi padre) e le mega cooperative emiliane della Lega, Cns e Manutencoop, dagli appalti delle pulizia. Decisioni rese note giovedì e che costituiscono l’ultimo atto dell’ad. Anche una vendetta ai suoi danni da parte Pd ( visto che ci sono anche le Coop) come ventila Lucio Barani di Ala? Lui di mozione a difesa di Marroni ne aveva presentata una proprio giovedì, poi aveva cercato di concordare la linea col Pd. E alla fine aveva ritirato la sua. Ora le ritireranno tutti.
L’inchiesta Riguarda la presunta corruzione di un dirigente Consip da parte dell’imprenditore Romeo (in carcere), il maxi-appalto Fm4 da 2,7 miliardi in cui Romeo aveva vinto 3 lotti (e poi è stato sospeso) e il presunto traffico di influenze attribuito a Tiziano Renzi e al suo amico Russo
Fuga di notizie e falsi
Sono indagati il ministro Lotti, il comandante dei carabinieri e un altro generale per la fuga di notizie che ha consentito ai vertici Consip di togliere le microspie. Un colonnello risponde di depistaggio. Un capitano di falso in relazione a un’informativa che accusa il padre dell’ex premier