Il bizzarro dibattito sul teste Marroni: il Pd lo licenzia, ma non osa citare Lotti
Zanda e i suoi evitano di parlare del collega indagato
Luigi
Zanda, capogruppo del Pd con quattro legislature e sedici anni di esperienza parlamentare alle spalle, sfodera tutto il suo mestiere. Prende il microfono di fronte all’aula ancora semivuota e spiega la posizione del suo partito sulla questione Consip senza pronunciare mai la parola “Lo t ti ”. Ma proprio mai. “È in corso – spiega Zanda – un’inchiesta giudiziaria difficile, un’inchiesta lunga, e se tutti noi crediamo alla giustizia, dobbiamo sapere che l’i nchiesta deve svolgersi in pace e deve essere seguita con grande rispetto”. Valori ecu- menici: pace e rispetto per un’inchiesta difficile. La ragione per cui i suoi ex compagni di partito chiedono le dimissioni del ministro Luca Lotti, Zanda non la contempla nemmeno. Aggiunge: “Fatemi dire, molto banalmente, che il buon senso comune, dal quale anche il Parlamento dovrebbe essere in qualche modo interessato, mi fa interrogare sul senso di un dibattito su una questione già superata”. Insomma, buon senso comune: tanto il cda di Consip oramai è destinato a decadere, cos’altro c’è da aggiungere sull’argomento? È la linea del Pd. Più tardi la conferma l’ex lettiano Francesco Russo.
E LUI, QUANTEvolte pronuncia la parola “Lotti”? Zero. Sostiene Russo, in un intervento fotocopia di quello del suo capogruppo: “Sfortunatamente, Consip oggi è al centro di un’inchiesta giudiziaria e credo si debba, da parte del Parlamento, il massimo rispetto all’autonomia ed al lavoro della magistratura. Tale inchiesta ha indotto diversi gruppi del Senato della Repubblica, in momenti diversi, a presentare mozioni che fondamentalmente chiedevano che si procedesse alla sostituzione dei vertici che, in un modo o nell’altro risultano coinvolti nell’inchiesta”. Riesce a non dire nulla, come Zanda, con straordinaria perizia.
Nel pomeriggio, poco prima del voto, prende la parola il terzo senatore del Pd, Franco Mirabelli. È meno fortunato degli altri, gli eventi lo costringono a pronunciare la parola “Lotti”. Una sola volta, e comunque senza dire nulla nel merito delle vicende giudiziarie che lo riguardano. Si rivolge ironicamente, invece, al “compagno Gotor”: “Desidero ricordare a lui e a me stesso che il nostro compito oggi, in quest’aula, non è certo quello di sostituirci alla magistratura, né tantomeno allestire processi sommari, come invece ho sentito fare da diversi colleghi intervenuti. È ovviamente legittimo, anzi
È in corso una lunga e difficile inchiesta e, se tutti noi crediamo alla giustizia, deve svolgersi in pace
doveroso esplicitare le opinioni diverse, ma trovo meno comprensibile l’idea di risollevare questioni su cui il Senato si è già espresso, respingendo la mozione di sfiducia nei confronti del ministro per lo Sport”.
Trattasi di capolavoro politico: il Pd trasforma quello che rischiava di essere un processo a Luca Lotti in una condanna (a pieni voti) del suo accusatore, Luigi Marroni. E riesce a farlo senza aprire un dibattito sul suo ministro indagato: in quasi quattro ore di discussione a Palazzo Madama, le ragioni per cui Lotti dovrebbe dimettersi, come chiede Mdp, restano sullo sfondo. Quello che rimane è una maggioranza che per il governo Gentiloni è senza precedenti e una logica ribaltata: l’unico responsabile della vicenda è anche l’unico che non è ancora finito sotto inchiesta.
TRA I POCHI a raccontare dal principio la vicenda Consip (con 5 Stelle e Sinistra Italiana) è proprio il “compagno Gotor”. A parlare dell’“eccesso di reticenza del testo presentato dalle altre forze della maggioranza, che si concentrano solo ed esclusivamente sul dottor Marroni in modo maramaldesco, isolando la sua vicenda dal contesto di potere e dal campo di relazioni” in cui avviene. “Sia chiaro – dice il bersaniano – la vicenda Consip, a prescindere dal suo eventuale rilievo penale, che spetterà ai giudici valutare, è come una spia dell’olio, che si accende e rivela alcune caratteristiche di fondo del sistema di potere renziano di questi anni, come già la vicenda della Banca Etruria”. La sua mozione viene seppellita dai no, e cala il sipario.