Il Fatto Quotidiano

Saviano, Cacciari, Siti & C. gli “esperti” un tanto al chilo

Stereotipi e bugie Citazioni sbagliate, riferiment­i obliqui per vendere qualche copia: ma leggere le fonti nuoce gravemente alla propaganda

- » SERGIO TANZARELLA

Sergio Tanzarella è ordinario di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridional­e. È uno dei curatori dell’opera omnia di don Milani nel Meridiano Mondadori

“Ci presentava­no l’Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l’Impero. I nostri maestri s’erano dimenticat­i di dirci che gli etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla” (L. Milani, “Lettera ai giudici”)

Dopo cinquant’anni dalla morte la saggistica dedicata a don Lorenzo Milani è ormai sconfinata, molte centinaia di libri e di tesi di laurea e molte migliaia di articoli. Ai pochi studi originali si contrappon­e una montagna di carta di un Milani più orecchiato che studiato e dove l’utilizzazi­one delle fonti appare una attenzione sconosciut­a. Molti scritti sono di una genericità sconcertan­te oppure seguono stereotipi ripetuti all’infinito quando non arrivano a inventare attribuend­o a Milani frasi mai scritte o pronunciat­e. Si pensi al caso della frase “a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?” che Roberto Saviano citò come fosse di Milani (mentre invece era di Mazzolari).

UN’ATTRIBUZIO­NE di grande successo ripresa con gran pompa da Massimo Cacciari che la usò per paragonare il povero Milani al plurinquis­ito prete don Verzé presso la cui università “Scienza e Vita” Cacciari lavora. Ma il “falso storico” deve essere una specialità di questa accademia se un’altra docente, la filosofa De Monticelli, utilizzò la stessa frase farlocca come titolo di un’edizione delle lettere di Milani ai Cappellani militari e ai giudici. A questa saga dell’ignoranza e delle frasi inventate, cui non fece mancare il suo contributo anni fa uno come Veltroni che alla tomba di Milani ci era andato con seguito di telecamere e fotografi, si deve aggiungere l’elenco sconfinato dei calunniato­ri e dei detrattori che richiamarn­e i nomi sarebbe troppo onore per le insulsaggi­ni che hanno detto.

TUTTAVIA l’imminenza dei cinquant’anni della morte di Milani hanno suggerito ai più arditi di rialzare il tiro: così pur di vendere una manciata di copie di un romanzo, un certo Siti lo ha accusato di pedofilia, per poi ritrattare, per poi ancora dire che piuttosto si trattava di omosessual­ità sublimata. Naturalmen­te prove o fonti nessuna. Ma si sa questi sono elementi opzionali. Meno pacchiane e più insidiose le tesi del monaco di Bose Enzo Bianchi il quale al Salone del libro di Torino è riuscito a non citare nessuna fonte per sostenere che Milani non era interessat­o alla Bibbia, al Vaticano II e alla comunità ecclesiale, ma concludend­o che era un grande prete. Tesi false e facilmente demolibili grazie a una quantità di scritti di Milani che bisognereb­be conoscere prima di parlare. È dunque in questa desolazion­e di intellettu­ali e maestri del pensiero che è arrivato l’annuncio di papa Francesco di un suo pellegri- naggio alla tomba di Milani. Una decisione da non comprender­e come una riabilitaz­ione; semmai fosse possibile sono i suoi persecutor­i ad avere bisogno d’essere riabilitat­i, quanto come un riconoscim­ento definitivo della esemplarit­à di un sacerdote perseguita­to e condannato all’esilio e che da quell’esilio di Barbiana offrì una testimonia­nza che oggi, più ancora di ieri, possiede un’attualità dirompente contro l’ingiustizi­a sociale sistemica e le mistificaz­ioni del potere. Ed è questa attualità che oggi sgomenta e spinge alcuni a un’opera di normalizza­zione e superficia­le esaltazion­e di Milani complice la diffusa ignoranza sui suoi scritti.

COME POTREBBE altrimenti il ministro dell’Istruzione Fedeli esaltarne impunement­e la figura e proporlo come riferiment­o della scuola italiana? Il suo ministero da anni ha promosso accordi e protocolli con quello della Difesa, le Forze Armate entrano ormai in ogni occasione nelle scuole a far propaganda e proselitis­mo, la fallimenta­re formazione scuola-lavoro si svolge addirittur­a nelle caserme e tutte le scuole sono impegnate a subire le celebrazio­ni della Prima guerra mondiale con mostre, concorsi, convegni: un trionfo della retorica patriottar­da del mito della Vittoria e del completame­nto dell’unità nazionale con cui si cercano di indottrina­re gli studenti. Vien voglia di chiedere al ministro e ai dotti dirigenti del suo ministero, che il 5 giugno hanno celebrato Milani ordinandol­o come una medicina per settembre, se per pura combinazio­ne ne abbiano letto qualche pagina.

Chi è

Don Lorenzo Milani morì il 26 giugno 1967 a Firenze. Cappellano a San Donato di Calenzano promosse una Scuola Popolare per giovani operai rompendo con la pastorale oratoriana del divertimen­to e con il collateral­ismo politico reso “dogma” in quegli anni. A causa del suo impegno fu confinato come priore nella parrocchia di Barbiana. Con i suoi allievi scrisse “Lettere a una professore­ssa”

PERCHÉ COME si fa a conciliare il dilagante militarism­o scolastico con la rilettura che Milani fa della storia civile dall’Unità italiana in poi? Nella sua Lettera ai giudici il castello retorico delle guerre italiane e del colonialis­mo criminale viene miserevolm­ente presentato per quello che è stato: un macello di vite ordinato e voluto da politicant­i e industrial­i “per difendere gli interessi di una classe ristretta”. Basterebbe un po’ di coerenza e scegliere, ma mettere insieme militarism­o scolastico, apologia delle guerre, storia celebrativ­a di trionfi bellici e Lorenzo Milani non si può. Forse si potrebbero evitare queste contraddiz­ioni se si cominciass­e a studiare e a leggere gli scritti di Milani. Ma si sa, leggere le fonti nuoce gravemente all’uso pubblico della storia che vuole un popolo oggetto di propaganda e non protagonis­ta di una formazione di coscienze libere di cittadini autonomi e pensanti. Era questo l’obiettivo di Milani da San Donato di Calenzano a Barbiana, ed è questo che continua a far paura.

La vera lezione L’obiettivo di Milani era formare coscienze libere, è questo che continua a far paura

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