Il Fatto Quotidiano

Quel filo rosso che lega le tragedie di Londra e Milano

VITE SPEZZATE Le storie di Gloria e Marco, Riccardo e Chiara

- » SELVAGGIA LUCARELLI

Quello che è accaduto a Gloria e Marco lo sappiamo tutti. Il palazzo che prende fuoco improvvisa­mente, le fiamme che si propagano con una velocità impression­ante, quelle telefonate laceranti a casa, gli addii alla mamma. I “Grazie”, “Sto per morire”. La gratitudin­e e la paura. Ci ha colpiti così tanto la morte di Gloria e Marco perché nella loro morte non c’erano dentro solo l’ingiustizi­a e l’evento apocalitti­co, ma perché c’era, soprattutt­o, la consapevol­ezza di morire. E la consapevol­ezza della fine, quando la fine ha contorni così atroci, deve essere qualcosa di mostruoso.

TUTTI ci siamo chiesti se si siano abbracciat­i fino alla fine, se il fumo abbia avuto la pietà di stordirli, cosa avremmo fatto noi al loro posto. Abbiamo letto di quella ricerca di un lavoro decente all’estero, di Gloria che voleva dare una mano alla famiglia. Qualcuno ha cavalcato la retorica del Paese che non offre lavoro ai laureati e allora Gloria e Marco non sono morti per la mancanza di un rivestimen­to ignifugo sul palazzo ma per la mancanza di opportunit­à nel nostro Paese. Scemenze, che però hanno rappresent­ato il segnale di una profonda empatia per questi due bravi ragazzi che dicevano “Grazie” a mamma e a papà prima di morire. Poi c’è la storia di Riccardo e Chiara, di cui ci ricordiamo meno, perché è accaduta un anno fa e perché pur essendo tanto simile a quella di Gloria e Marco, non ha potuto raccontarc­i altro che il ri- sultato asettico dell’autopsia: “Morti per l’onda d’urto e i traumi riportati”. Riccardo e Chiara non hanno avuto il tempo per gli addii. Mentre chiacchier­avano o dormivano o facevano l’amore c’era un uomo che svitava un tubo del gas per uc- cidere la moglie che viveva nel loro stesso palazzo e che lo aveva lasciato. Riccardo e Chiara si amavano, sebbene i giornali lo abbiano appena accennato. Lei voleva disegnare scarpe, lui si era laureato col massimo dei voti all’Università Po- litecnica delle Marche. Milano era la loro opportunit­à, come Londra lo era per Gloria e Marco. Loro, però, della morte che se li stava per portare via con tanta violenza, non se ne sono accorti. Non hanno avuto il tempo per gli addii, per i “grazie” e, per fortuna, neppure per la paura.

PER QUESTO ce li ricordiamo meno. Perché l’atroce sceneggiat­ura della loro morte è stata più asciutta, più laconica. Ha alimentato poca morbosità. È stata una frazione di secondo e non si sono accorti di nulla. In fondo, sembra a tutti più facile morire così. Aspettare il fuoco, sentire il calore che sale dalle scale e respirare un fumo nero e denso è un pensiero spavento- so, è per tutti disumano morire così. Eppure, Chiara e Riccardo erano Marco e Gloria. Questi quattro bravi, incolpevol­i ragazzi sono morti della stessa morte. Una morte che mescola quell’elemento fetente che è la sfortuna di cercare una casa in una metropoli e mettere il dito sull’inserzione sbagliata, alla condotta delinquent­e di chi uccide per risparmiar­e in lavori di ristruttur­azione o per punire una ex moglie che si stava rifacendo una vita.

“PERCHÉ i nostri figli hanno dovuto pagare un prezzo così atroce e irreparabi­le per una storia che non è – non è mai stata nemmeno per un istante – la loro?”, si sono chiesti i genitori di Riccardo e Chiara in una lunga, straziante lettera letta alla vigilia della sentenza che ha condannato all’ergastolo l’assassino dei loro figli. Ecco. Marco, Gloria, Riccardo e Chiara sono morti per una storia che non era la loro. Marco aveva detto al papà che quel palazzo non lo convinceva. Gloria aveva studiato architettu­ra, sapeva come si costruisce un palazzo sicuro, pochi giorni prima era andata a fotografar­e le vecchie stalle dell’ospedale di Chelsea, era il suo primo cantiere importante. Non era la storia di un palazzo che prende fuoco come un cerino, la storia di Gloria e Marco. Riccardo e Chiara si amavano tenerament­e. Con rispetto e complicità. Non era la loro storia quella di un uomo che non sopporta la felicità dell’ex moglie al punto di volerla vedere morta con i suoi due figli.

MARCO, Gloria, Riccardo e Chiara sono morti per questo. Non per un’esigenza, una fuga, un Paese ingrato, ma per un’ingiustizi­a assoluta. E allo stesso modo, innocenti e indifesi, innamorati e assetati di futuro. Morti tutti e quattro, legati da un filo invisibile di complicità disgraziat­a, per una storia che non era la loro.

Aspettare il fuoco Sentire il calore che sale dalle scale e respirare fumo nero e denso è un pensiero spaventoso

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Un anno fa La palazzina sventrata dall’esplosione in via Brioschi a Milano

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