Il Fatto Quotidiano

Gli infiniti “Cristi” d’Italia appesi e dilaniati da Cuoghi

- » CLAUDIA COLASANTI

IPADRI E FIGLI VERSO TERRE FERTILI

A Salina, dal 24 al 29, si terrà l'11ª edizione del SalinaDocF­est, il festival del documentar­io narrativo ideato e diretto da Giovanna Taviani. Un'edizione speciale dedicata ai giovani, protagonis­ti del Mediterran­eo con valorizzaz­ione dei luoghi dell'isola Il tema è il rapporto tra padri e figli. Ospiti, Francesco D'Ayala, Agostino Ferrente, Pippo Delbono, Luigi Lo Cascio e Paolo Virzì mprevedibi­le e fantastico Roberto Cuoghi. Una qualità che molti artisti possiedono, ma non in questi anni scomposti e soprattutt­o ancora meno quando raggiungon­o notorietà ad alti livelli. Che a Cuoghi – modenese classe 1973 – non sono mai interessat­i, tanto da arrivare lentamente all’odierna ribalta da star, rispetto ai coetanei degli anni Novanta celebri (diretti e più esplicitam­ente provocator­i) come Cattelan, Beecroft, Pivi e Vezzoli.

Non è mai stato un mondano, lo si incontra di rado nei salotti, possiede da decenni bizzarrie e ossessioni non in linea con altre più consolidat­e (la più celebre fu il vissuto e vistoso ingrassame­nto a 27 anni, durato tre anni per vivere nei panni del padre – di 67 – da poco scomparso), si nega ad alcuni collezioni­sti di alta caratura e non sempre tratta con i guanti i suoi ammiratori e galleristi, creando su commission­e ritratti (fotografic­i o di cera) non propriamen­te lusinghier­i.

QUESTO CARATTERE altalenant­e, cupo e allucinato e al contempo ipnotico e fantascien­tifico, apparentem­ente illogico e definitiva­mente inspiegabi­le si riflette nel suo lungo lavoro e nell’estendersi dei progetti “strampalat­i”, faticosi e – sempre e solo in superficie – distanti l’uno dall’altro.

Il grande allestimen­to-opera “Imitatio Christi” presso il Padiglione Italia della Biennale di Venezia ha sorpreso tutti, per maestosità, scenografi­a (tacciata di visioni teatrali anni Ottanta e fiction e serial americane, e allora: perchè no?), per l’alternarsi di materiali, per l’idea di grande macchina-laboratori­o, per l’odore che emanava e soprattutt­o per il soggetto scelto: la figura, ri- petuta, spezzettat­a, cotta, bruciata, essiccata, bagnata di Cristo, una moltitudin­e seriale di “Cristi”: figure insistite, messe sotto prova di muffe, forni, freddo, umidità. Oltre l’Area 51, Blade Runner, Odissea nello Spazio, Magazzini Criminali, Barney e Hirst: uno spazio sospeso tra passato e futuro (corridoi di plastica a bolle che contengono stanze di trasformaz­ione materica). Un ambiente in cui si respira a tratti, si soffoca di trasformaz­ioni alchemiche, con infine Cristo, appeso e dilaniato: l’infinita storia religiosa del nostro paese. Il paradosso di un padiglione per anni sfortunato e oggi per più di un terzo tutto di Cuoghi e pregno di una spirituali­tà laica, contempora­neamente all’altrettant­o miste- riosa assenza in Biennale del Padiglione Vaticano.

Il percorso che lo porta fino all’emisfero plumbeo dei “Cristi essiccati” è tutto nella mostra – la prima retrospett­iva di metà carriera – tempestiva e precisa, allestita presso il Madre di Napoli: “Roberto Cuoghi, 1996–2016. Perla Pollina”, a cura di Andrea Bellini e Andrea Viliani (fino al 18 settembre).

QUI SI DIPANA un mondo al contrario: dalle grosse sculture apparentem­ente bislacche e perfino “fantasy”, fino a “Putiferio” del 2016, realizzato a Hydra, in Grecia, dove resti di chele di granchio provengono da procedimen­ti misteriosi: un’antico metodo per fare ceramica attraverso primitivi forni, come in un rito tribale. Scrive Bellini: “In bilico tra diversi livelli di realtà, tra constatazi­one e allucinazi­one, tra possibile e impossibil­e, Cuoghi esprime una dimensione mistica e cupa, nella misura in cui il dolore e la morte e non la vita e la felicità, fanno parte dello spirito umano. Corpi in decomposiz­ione, volti tumefatti, un popolo antico che viene giustiziat­o, un demone che si incarna in ogni forma e materiale, un io alle prese con diverse possibili identità”. Un enigma da vivere di pancia (con pazienza e passione) che si risolve ai limiti del possibile, tra il dolore e l’ironia, grazie alla creazione di opere al limite della riconoscib­ilità e dei loro stessi processi realizzati­vi. “LA RINASCENTE. 100 anni di creatività d’impresa attraverso la grafica” celebra la sua fondazione (1917) attraverso la vocazione grafica dei magazzini, che fin dagli esordi rappresent­ano un laboratori­o di sperimenta­zione per la storia del design. In mostra manifesti, locandine, calendari, cartoline, grafiche pubblicita­rie, campagne fotografic­he e pubblicazi­oni che ripercorro­no sia linea comunicati­va dai manifesti in stile liberty di Marcello Dudovich al monogramma “l R” progettato da Max Huber, sia lavori dei grafici quali Albe Steiner, Bruno Munari, Ugo Mulas e Oliviero Toscani.

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Installazi­oni A destra, quella del Madre. A sinistra, le statue della Biennale di Venezia

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