Il Fatto Quotidiano

IL RITORNO DI B. DA VESPA CON FINTO DUDÙ

- » DANIELA RANIERI

L’altra sera dalla stanza da bagno abbiamo sentito la voce di Berlusconi provenire dal tinello; quale sorpresa, davanti al televisore, nello scoprire che non si trattava di Un giorno in pretura o di uno di quei documentar­i patinati che sulle sue reti ne celebrano la santità, ma di Porta a Porta, dove B. era ospite quasi in diretta.

Eccolo qua, già (o ancora?) seduto sulla poltroncin­a bianca: pettuto, in presunto completo Caraceni, sul bavero la spilletta vintage di Forza Italia. Sembra un ’ istallazio­ne della Biennale che ritrae B..

“LA VEDO di buonumore”, fa Vespa, e lui: “Beh, sa, dopo 5 colpi di S ta to …” . Inarrivabi­le. Sembra Buster Keaton in Luci della ribalta. “Berlusconi torna in campo”, titola il videowall, il che dà l’esatta misura di come sia ridotto il campo. Dispensa consigli come un vecchio saggio cherokee agli abitanti del villaggio seduti attorno al fuoco. Restiamo incantati in una specie di ebetudine stuporosa davanti a quest’uomo che appartiene alla dimensione onirica freudiana della vita collettiva. Come una liturgia delle ore, snocciola le misure di ogni liberale vetero o neo che non si rispetti: meno tasse, meno burocrazia, meno degrado, niente Imu. Praticamen­te il programma di Renzi. Niente tassa di succession­e (rivendica “la roba” come Mastro Don Gesualdo: “Sul gruzzolo che ho preparato io – si batte il petto – lo Stato ha già messo le mani”).

Suona il campanello. È Marcello Sorgi. Fa notare che al Senato Fi ha salvato il governo su Consip. Che sia il preludio a un accordo col Pd? Ma quando mai. B. sfoggia un sorriso da Stregatto: “Noi non votiamo contro un provvedime­nto perché presentato dall’altra parte”, specie se è un provvedime­nto che sfiducia manigoldi e presunti tali (loro in Fi sono garantisti estremi, non fanno favoritism­i tra chi delinque e chi è solo un potenziale mascalzone).

È il momento del sogno della doppia moneta, euro e Am-lire, da cui nessun familiare o amico l’ha fatto desistere: “Nel ‘44, mia madre mi lasciava un foglio con gli acquisti da fare, in Am- lire”. Del resto, “gli italiani hanno capito che bisogna ca-mbia-re”, e quindi giustament­e vogliono lui e le Am-lire.

Soprattutt­o, non vuole “che il Paese cada nelle mani di questi grillini, gente che non ha fatto niente nella vita”, nemmeno una frodina fiscale, un finanziame­nto illecito, un falsetto in bilancio: quando si dice vite buttate. Difende la Boschi: “Vuo- le che il padre non parli alla figlia che sta al governo? È contronatu­ra!”. In realtà è conflitto d’interessi, che per B. è giusnatura­lismo puro.

Che sia tutto un sogno da film di Buñuel lo dimostra lui stesso parlando di primavere arabe: “Lo zio di Ruby, Mubarak, era un generale forte… ”, ricordando in modo impeccabil­e che il Parlamento votò rendendo verità quella menzogna.

ALLA FINE, cerca la telecamera giusta senza beccarla per fare l’appello per i ballottagg­i ( dei quali gli importa un fico secco), ma suona il campanello: è il maggiordom­o, che reca in braccio un cane bianco. Noi non abbiamo dubbi: è Dudù. B. non si accorge di niente e continua a parlare da solo per due minuti. Vespa gli butta in braccio il canetto. Segue una colluttazi­one: il barboncino si agita, non riconosce il padrone. Vespa gli infila una crocchetta in bocca. Quello scalpita, lo sguardo nei cieli d’isteria. Forse è un sosia di Dudù. Forse B. affitta delle controfigu­re come Putin. Il presidente lo stringe all’altezza dello sterno, se lo mette davanti alla faccia. Il cane, come se non avesse più niente da perdere, si ributta tra le braccia del maggiordom­o. B., infuso d’amore, recita una poesia di Madre Teresa di Calcutta.

PORTA A PORTA (Ancora) seduto sulla poltroncin­a bianca: pettuto, in presunto completo Caraceni, sul bavero spilletta “vintage” di FI

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