Ciao Montalbano, eroe civile in un’Italia incivile
“Quanto tempo gli ammancava per annare ‘n pensioni? Picca e nenti, anzi, volennelo, già da tempo avrebbe potuto esserici”
(da “La rete di protezione” di Andrea Camilleri – Sellerio, 2017 – pag. 126)
Anche per gli eroi civili più popolari arriva – prima o poi – il momento del congedo definitivo. E così il commissario Montalbano, creato dalla fantasia letteraria di Andrea Camilleri, si appresta a uscire di scena. Forse non morirà, fa sapere il suo artefice, perché gli eroi sono imperituri. E comunque, continuerà a vivere nella memoria dei lettori e dei telespettatori, come il commissario Maigret di Georges Simenon o tanti altri investigatori celebri della narrativa gialla.
Nell’Italia incivile popolata di mafiosi, camorristi, faccendieri, trafficanti e traffichini, Salvo Montalbano ha rappresentato il simbolo dell’altra Italia che vuole combattere la corruzione, il malaffare, la criminalità organizzata. L’icona mediatica di un Paese che nonostante tutto non si rassegna e non si arrende. Uno di quei tanti agenti o funzionari di Polizia, carabinieri e finanzieri, che continuano a fare quotidianamente il proprio dovere per difendere l’ordine pubblico, la sicurezza e la convivenza civile, guadagnando a fine mese magri stipendi e spesso rischiando la vita.
Solitario quasi al limite della misoginia, determinato fino alla spregiudicatezza, buongustaio a rischio dell’ingordigia, il commissario di Camilleri – interpretato da un inimitabile Luca Zingaretti nelle serie televisive di grande successo prodotte dalla Rai e ritrasmesse in mezzo mondo – mancherà a tutti noi come un punto di riferimento delle nostre letture e delle nostre riflessioni. Senza di lui, avremo un “angelo protettore” in meno e qualche potenziale nemico occulto in più. E la sua assenza non ci aiuterà certamente ad allontanare né le insidie né gli incubi della società contemporanea, esasperata e incattivita da una crisi esistenziale prima ancora che economica.
L’UMANITÀ burbera di Montalbano, il suo senso della giustizia, la sua intelligenza investigativa, tutte doti di cui dobbiamo rendere grazie a Camilleri, ci hanno offerto negli ultimi vent’anni un antidoto contro i veleni quotidiani della cronaca nera e di quella giudiziaria. Cioè della vita. Una vita che è fatta, certamente, di cose buone e di cose cattive, ma nella quale prevalgono purtroppo gli aspetti più perversi e corrosivi.
Lui, con tutta la sua pittoresca squadra di collaboratori, era un argine, una diga, una difesa. Ed è stato anche un esempio, un modello di comportamento, in particolare per gli uomini e per le donne in divisa. O magari, perfino un deterrente per l’esercito clandestino della criminalità.
“Beato quel Paese che non ha bisogno di eroi”, avvertiva il Galileo di Bertolt Brecht. Eppure, all’Italia di oggi occorrono più che mai figure positive; personaggi – seppure di fantasia – capaci di stimolare buoni sentimenti e buoni atteggiamenti. La narrativa civile, a cui appartiene di diritto l’opera di Camilleri con il suo “slang” siculo tradotto in una quarantina di Paesi, può essere uno strumento per alimentare un circolo virtuoso, magari con il supporto della televisione nazionalpopolare.
Non sappiamo quando e in che modo il commissario uscirà di scena. Ma possiamo immaginare che il suo sarà un congedo discreto, in punta di piedi, senza troppo rumore. Forse si ritirerà nella sua casa sulla spiaggia di Marinella, forse raggiungerà finalmente la sua Livia a Boccadasse. Un fatto è certo: noi, lettori affezionati di Camilleri, rimpiangeremo Salvo Montalbano come un amico prezioso e insostituibile.